Napoli, che spesso nasconde o vede nascosta la sua identità dietro una facciata di stereotipi, che ha una storia culturale e artistica ricchissima spesso ridotta a cliché, che vive di sentimenti contrastanti tra proclami, progetti, momentanea fiducia e fortissime insicurezze, nell’anno che si appresta a chiudersi ha visto la sua consacrazione internazionale.
Eppure, ogni tanto ci farebbe bene ricordare chi l’ha preferita, l’ha scelta e le ha voluto bene quando non era esattamente un trend, anche e soprattutto per prevenirne un altro. Se è vero che la musica della città spesso funziona da termometro sociale, in grado di riportarci con precisione la temperatura emotiva, cosa simile può dirsi del calcio.
E dopo la sfavillante stagione del terzo scudetto, sarebbe ingiusto e scorretto non menzionare un certo colpo di freddo. Oggi, nonostante Walter Mazzarri – un ritorno corroborante come un bel piattone di pasta e patate un giorno che fuori piove ed eravamo senza ombrello –, mentre il Comune si appresta a insignire Luciano Spalletti della cittadinanza onoraria in un’estensione o recupero delle celebrazioni visto che al momento non abbiamo moltissimo da festeggiare, e De Laurentiis sembra smaniare perché gli si venda lo stadio Maradona, noi che guardiamo e tifiamo oscilliamo tra la sindrome dell’impostore e quella dell’unicità.