Giovanni Malagò e il vino: «Bevo solo italiano, ma con Agnelli champagne»

Il presidente del Coni: sono un vero cultore, mai a cena con una donna astemia

Giovanni Malagò
Giovanni Malagò
di Maria Chiara Aulisio e Gerardo Ausiello
Venerdì 23 Febbraio 2024, 07:50 - Ultimo agg. 10 Marzo, 08:21
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Da Roma al mondo e ritorno. Quando si pensa a Giovanni Malagò non si può non partire da tre aggettivi che vanno dritto all’essenza della sua complessa personalità: internazionale, elegante, cosmopolita. Indizi che ci rimandano a uno dei vitigni più famosi, amati e diffusi sul pianeta, dalla Francia agli Stati Uniti fino all’Australia: lo Chardonnay. Un nettare capace di conquistare donne e uomini a tutte le latitudini, che dà il meglio di sé sia con vini fermi che con le fascinose bollicine (è uno dei vitigni maggiormente utilizzati per la produzione dello Champagne). Ecco, quando vediamo Malagò immaginiamo quell’attraente grappolo con acini di media grandezza e la buccia tenera, di colore giallo dorato, che ogni anno attendiamo pazientemente si trasformi nell’amata bevanda. Ma a proposito di vitigni internazionali, ce n’è un altro che ben si addice al carattere del presidente del Coni, che ha alle spalle una lunga e intensa carriera partita dall’automotive, quando nasce e si consolida il suo rapporto con la famiglia Agnelli, passando per l'universo bancario con tanti incarichi e partecipazioni di prestigio per approdare infine allo sport. È il Cabernet Sauvignon, rosso potente e al tempo stesso duttile, ammaliante e longevo (è uno dei tre vitigni, con il Merlot e il Cabernet Franc, che danno origine ai Bordeaux), con sentori marcati di spezie e frutta rossa e una forte identità che unisce Roma, il Lazio, terra d'origine di Malagò, e il mondo in un abbraccio enologico difficile da dimenticare. E se invece Malagò fosse un vino da dessert? Il matrimonio è presto fatto: il Moscato rosa, dolce, persistente e aromatico da abbinare al cioccolato e alla crostata di frutta. Meditando magari sui successi sportivi italiani, dal tennis allo sci, e sui tanti altri che speriamo possano arrivare. 

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Giovanni Malagò, quante bottiglie di vino ci sono nella sua cantina?
«Precisamente non lo so ma credo di averne a sufficienza per lasciarle in eredità alle mie figlie».

Qual è il momento giusto per aprirne una?
«È sempre il momento giusto: la vita è troppo breve per tenere le bottiglie chiuse, soprattutto le migliori».

L’occasione speciale non serve.
«Ora vi racconto quello che faccio io, una sorta di rito.

E però serve una premessa: duecento giorni all’anno dormo in un letto che non è il mio e quando torno a Roma mi piace stare a casa».

Fin qui...
«Camino, cani, i sigari cubani, gli amici, ho bisogno di relax».

Ma il rito qual è?
«Ora ci arriviamo. Tra il garage e l’ascensore ho creato il mio spazio cantina: temperatura costante, luce giusta e tasso di umidità consigliato da chi fa questo di mestiere».

Ci tolga una curiosità: le bottiglie le tiene orizzontali o verticali?
«Tutte assolutamente orizzontali».

Più che cantina è un appartamento.
«Lo spazio è ampio, certo, comunque ho dovuto rinunciare a qualche scaffale pur di tenerle tutte in quella posizione. Il vino ha bisogno di rimanere a contatto con il sughero per mantenerlo elastico e umido sennò il rischio è che prenda il sapore del tappo».

Eravamo nello spazio cantina.
«Giusto. Quando la sera torno a casa lascio l’auto in garage e vado direttamente lì dove non prende neanche il cellulare. Appoggio la borsa da lavoro, metto gli occhiali e passo cinque, dieci, quindici minuti, forse anche di più, a scegliere la bottiglia che berrò a cena. Un momento di laica religiosità che mi dà grande soddisfazione».

Passiamo alle preferenze.
«Una su tutte: il vino italiano, sono un cultore quasi patologico e posso assicurarvi che non ho mai comprato una bottiglia che non fosse prodotta qui».

Addirittura?
«È chiaro che se invito un amico a cena e mi porta un vino francese, sudafricano, cileno, spagnolo, tanto per fare qualche esempio, lo accetto ben volentieri ma che sia io a comprarlo no, non è mai successo e non accadrà. È una filosofia di vita».

Il made in Italy?
«Certo. Vesto italiano, compro accessori italiani, le mie auto sono italiane, tutto quello che possiedo è solo ed esclusivamente italiano».

D’altronde vino e sport sono due grandi eccellenze del nostro Paese.
«Due mondi che tengono alta la nostra bandiera ma penso anche alla moda, alla tecnologia, ai motori Ferrari, sui quali c’è un formidabile riconoscimento di qualità e senso di patriottismo».

Con Gianni Agnelli che cosa beveva?
«Solo champagne, soprattutto Dom Perignon, in alternativa il Philipponnat millesimato».

Da Roma al mondo e ritorno. Quando si pensa a Giovanni Malagò non si può non partire da tre aggettivi che vanno dritto all’essenza della sua complessa personalità: internazionale, elegante, cosmopolita. Indizi che ci rimandano a uno dei vitigni più famosi, amati e diffusi sul pianeta, dalla Francia agli Stati Uniti fino all’Australia: lo Chardonnay. Un nettare capace di conquistare donne e uomini a tutte le latitudini, che dà il meglio di sé sia con vini fermi che con le fascinose bollicine (è uno dei vitigni maggiormente utilizzati per la produzione dello Champagne). Ecco, quando vediamo Malagò immaginiamo quell’attraente grappolo con acini di media grandezza e la buccia tenera, di colore giallo dorato, che ogni anno attendiamo pazientemente si trasformi nell’amata bevanda. Ma a proposito di vitigni internazionali, ce n’è un altro che ben si addice al carattere del presidente del Coni, che ha alle spalle una lunga e intensa carriera partita dall’automotive, quando nasce e si consolida il suo rapporto con la famiglia Agnelli, passando per l'universo bancario con tanti incarichi e partecipazioni di prestigio per approdare infine allo sport. È il Cabernet Sauvignon, rosso potente e al tempo stesso duttile, ammaliante e longevo (è uno dei tre vitigni, con il Merlot e il Cabernet Franc, che danno origine ai Bordeaux), con sentori marcati di spezie e frutta rossa e una forte identità che unisce Roma, il Lazio, terra d'origine di Malagò, e il mondo in un abbraccio enologico difficile da dimenticare. E se invece Malagò fosse un vino da dessert? Il matrimonio è presto fatto: il Moscato rosa, dolce, persistente e aromatico da abbinare al cioccolato e alla crostata di frutta. Meditando magari sui successi sportivi italiani, dal tennis allo sci, e sui tanti altri che speriamo possano arrivare.

Bollicine anche per lei?
«Seguivo le tendenze, mi lasciavo consigliare: al vino mi sono appassionato sul serio dopo i quarant’anni. Oggi mi ritengo un conoscitore anche se continuo a studiare, è un mondo affascinante ma complesso. In ogni caso sì, sono un irriducibile delle bolle. Bolle e vino rosso soprattutto d’inverno, meglio se Barolo e Barbaresco. Ottimo anche l’Aglianico campano, migliora anno dopo anno».

D’estate bianco?
«Beh, certo, in piena estate ci vuole il bianco: amo molto i friulani, più in generale i Franciacorta. In ogni caso attenzione ai bicchieri. La forma è essenziale per esaltare le qualità del vino».

Ci dia qualche consiglio.
«Per il rosso serve un calice leggerissimo, arrotondato, l’apertura deve essere ampia per garantire il massimo contatto con l’ossigeno. Il bianco invece ha bisogno di una forma stretta e affusolata che ricorda i bicchieri da spumante. Lo stelo lungo aiuta a non farlo scaldare troppo presto».

Passiamo al nostro abbinamento. Se fosse un bianco secondo noi Giovanni Malagò sarebbe uno Chardonnay, se fosse un rosso un Cabernet Sauvignon. Che ne pensa?
«Penso che ci siamo. Il Cabernet in particolare è un vitigno che mi è familiare, si coltiva anche nel Lazio dove sono nato. Lo Chardonnay poi è un vino giramondo proprio come me».

Chiudiamo in bellezza. Che vino sceglie se invita a cena una signora, ammesso che non sia astemia.
«Se è astemia già partiamo male. In ogni caso per galanteria le chiederò se preferisce il bianco o il rosso poi però la bottiglia la ordino io».

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