La nostalgia del Nilo e il principe ossessionato dal mito di Iside

Ai tempi degli Alessandrini, la piazzetta dove fu eretta la statua del Nilo non era lontana dal mare, anzi quasi vi si affacciava

Piazzetta Nilo
Piazzetta Nilo
di Vittorio Del Tufo
Domenica 24 Settembre 2023, 10:00
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«Non smetteremo mai di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta»

(Thomas Eliot)

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Prima dell'avvento di Cristo, una foltissima colonia di Alessandrini si stanziò con abitazioni e botteghe a Neapolis. I mercanti, che erano dei tipi piuttosto nostalgici, eressero un monumento al dio Nilo in memoria della loro patria lontana, e a Napoli portarono i loro riti e i loro culti egiziaci, molto diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo. Nacque così la statua del Nilo, uno dei monumenti più famosi (e misteriosi) del centro antico.

Ai tempi degli Alessandrini, la piazzetta dove fu eretta la statua del Nilo, all'incrocio tra il Decumano inferiore (Spaccanapoli) e il cardine (via Nilo) non era lontana dal mare, anzi quasi vi si affacciava. Qui si insediarono gli Egizi provenienti da Alessandria. La colonia s'infoltì parecchio ai tempi di Nerone, che i mercanti adulavano (o, per quieto vivere, fingevano di adulare). Il Nilo è rappresentato con le sembianze di un vecchio con la faccia barbuta sdraiato sull'acqua, attorniato da putti e da una sfinge, poi scomparsa. La statua risale al secondo secolo dopo Cristo, e ha una storia incredibile. La testa, infatti, scomparve nel nulla e fu ritrovata molti secoli dopo. Quel busto tronco fu denominato Corpo di Napoli, a lungo si pensò addirittura che rappresentasse una donna intenta ad allattare i suoi figli, e quell'appellativo, o cuorpo e Napule, rimase anche dopo il 1657, l'anno in cui la statua fu restaurata.

Fino all'avvento del Cristianesimo, furono le credenze e i miti degli antichi Egizi a plasmare la religiosità dei napoletani. La zona che si stende intorno alla statua del Nilo aveva il suo fulcro nel tempio dedicato a Iside, i cui culti iniziatici sono tuttora alla base della maggior parte delle scuole esoteriche. Il culto di Iside era popolarissimo nell'antico Egitto (e nella Napoli del I secolo a.C.) perché offriva a tutti la prospettiva di sopravvivere dopo la morte, opponendosi così alle «concezioni aristocratiche di un Oltretomba astrale e riservato a pochi eletti» (Höbel, Misteri partenopei).

Iside era la dea della natura e della magia, simboleggiante la madre e quindi la fertilità. In fatto di Oltretomba, gli Egizi avevano le idee abbastanza chiare. Il dio egizio degli inferi, Osiride, secondo il racconto mitico che viene tramandato fu ucciso dal fratello Seth, che lo chiuse in un baule, nel corso di un banchetto, e lo gettò nel Nilo. Fu solo grazie all'ostinazione della moglie Iside che la bara con il corpo di Osiride fu poi ritrovata sulle sponde fenicie di Byblos; ma Seth, approfittando di un momento di distrazione di Iside, s'impossessò del corpo e lo ridusse in brandelli, tagliandolo in quattordici pezzi. E dove vennero sparsi i pezzi? Dal Cairo a Luxor, da Gerusalemme a Napoli. Che nello scrigno delle sue infinite memorie custodisce anche, tra mito e leggenda, una parte del corpo di Osiride, il dio degli inferi e dell'Oltretomba.

Così nel suo libro più famoso, Napoli greco-romana, Bartolommeo Capasso descrive la statua del Nilo, aggiungendo fascino a fascino: «Nudo nella parte superiore del corpo, ha le parti inferiori coverte da una veste, e sotto ai suoi piedi sporge la testa di un coccodrillo. Ha intorno alcuni bambini nudi e scherzanti, simbolo della prodigiosa natura del Nilo le cui acque non solo fecondano le terre, ma anche, secondo la comune credenza di allora, le donne e le bestie che ne bevevano». Anche il misterioso santuario dedicato a Iside, mai ritrovato, appassionò a lungo, quasi ossessionò, il grande storico ed archivista nato a Napoli nel 1815. Così, sempre in Napoli greco-romana, Capasso descrive i culti dedicati alla dea nell'area di piazzetta Nilo: «Stavano sedute avanti alla porta del tempio, e vestite di bianco, le donne che cantavano le lodi della dea salutare, e si trascinavano carponi con la faccia sul pavimento del tempio quelli che pregavano per la salute dei loro cari».

La ricerca del tempio di Iside, finora, è stata vana, con buona pace di don Bartolommeo. Capasso, in base ai suoi studi, lo collocò «al principio della via dell'Università», dove nel 1891, durante alcuni lavori nel sottosuolo di un palazzo, furono trovati grossi quadroni di tufo che rappresentavano, probabilmente, le fondamenta del tempio. Altri indizi conducono nei sotterranei del palazzo fatto erigere al largo Corpo di Napoli da Antonio Beccadelli, detto il Panormita, esponente di spicco dell'Umanesimo napoletano durante il regno di Alfonso V d'Aragona; il palazzo del Panormita sorge lateralmente al largo Corpo di Napoli, su via Nilo, in un tratto di strada che veniva chiamata de Bisi, che deriva dal napoletano mpisi ed evoca i condannati all'impiccagione che, provenienti dalle carceri della Vicaria, passavano davanti a quel palazzo prima di essere giustiziati.

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Ai tempi di Nerone la colonia di Alessandrini si infoltì a tal punto che la regione dove oggi si trova la statua del Nilo fu detta Nilense, dal nome del fiume benefico della madre patria. La moda dell'Egitto dilagò a Napoli e nelle altre città campane, come in tutto il mondo romano, soprattutto nei secoli di passaggio tra la Repubblica e l'Impero. Ne sono testimonianza, come osserva Giovanni Liccardo nel suo viaggio Alla scoperta di Napoli archeologica, «i simboli religiosi e i paesaggi nilotici (ippopotami, coccodrilli, pigmei) presenti negli arredi e negli affreschi delle case più belle».

Le pietre del Tempio di Iside furono innalzate in un terreno che la tradizione ermetica e misterica considera un “luogo di forze”, un incubatore di energie provenienti dal sottosuolo di piazza San Domenico Maggiore. Il motivo sarebbe legato alla presenza di corso d'acqua considerato “sacro” dai sacerdoti egiziani. Per gli appassionati di esoterismo la statua del Nilo sarebbe, assieme al convento di San Domenico e a Palazzo di Sangro, uno dei vertici del “triangolo magico” della città. Fatto sta che il culto di Iside colpì moltissimo anche Raimondo di Sangro, al quale come è noto non mancava né l'ingegno né lo spirito d'iniziativa. Il principe di Sansevero nell'area di piazza San Domenico fece scavare una vasta rete di cunicoli sotterranei proprio allo scopo di collegare il palazzo Sansevero (nei cui sotterranei il principe alchimista svolgeva i suoi misteriosi esperimenti) e la Cappella Sansevero con l'area del tempio di Iside. L'intento era quello, verosimilmente, di utilizzare e mettere a frutto, proprio per i suoi esperimenti, il luogo di forze e i motivi esoterici legati al tempio egizio. L'intento di don Raimondo era quello di utilizzare per i suoi esperimenti il "luogo di forze" e i motivi esoterici legati al tempio egizio. Il luogo stesso in cui sorge la Cappella Sansevero, del resto, è un concentrato di elementi misterici: Raimondo di Sangro era davvero convinto che fosse possibile collegare, attraverso una rete di cunicoli, i sotterranei del mausoleo di famiglia con l'antico sacrario egizio.

Miti e culti definiscono l'identità di un popolo, raccontano la storia di una comunità, il suo percorso culturale: ritrovarne i segni non è impresa facile in una città ricoperta di veli, stratificata come poche al mondo. Piazzetta Nilo è il nucleo incandescente della nostra memoria. Ma per i napoletani, abituati a trafficare con esseri umani provenienti da ogni parte del mondo, la statua del Nilo è soprattutto un simbolo di fratellanza e rispetto verso le altre culture presenti in città. Napoli non è forse, come scrisse Plinio il Vecchio, «una terra che porge da ogni parte il suo seno ai commerci e che, quasi per incoraggiare gli umani, stende ella stessa le sue braccia al mare»? 

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