C'era una volta un Pino, la cartolina strappata e la collina senza memoria

Lo scempio di un paesaggio urbano sventrato da anni di mala-amministrazione

Lo scempio di Posillipo
Lo scempio di Posillipo
di Vittorio Del Tufo
Domenica 7 Gennaio 2024, 10:00
6 Minuti di Lettura

«Natura è tutto quello che sappiamo
senza avere la capacità di dirlo,
tanto impotente è la nostra sapienza
a confronto della sua semplicità»

(Emily Dickinson)

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Molti anni prima che la cocciniglia tartaruga facesse strage dei pini di Posillipo - nell'ignavia di chi avrebbe dovuto e potuto impedirlo - si celebrarono i funerali del papà di tutti loro, il pino di tutti i pini, il Pino Maestro che dominava le vedute di Napoli negli ultimi decenni dell'800 e la prima metà del 900. Il pinus pinea, promosso al rango di simbolo della città da generazioni di vedutisti, soprattutto a cavallo dei due secoli, venne abbattuto nel 1984, ormai vecchio e ammalato, dopo 130 anni di onorata carriera. Sorgeva in via Minucio Felice, una traversa di via Orazio, in prossimità della chiesa di Sant'Antonio a Posillipo. Al suo posto venne piantato da Legambiente, dodici anni dopo, un nuovo pino: magra consolazione per i nostalgici di una certa Napule ca se ne va, anzi ca se n'è gghiuta.

Il padre di tutti i pini s'elevava con la sua chioma possente alle pendici del colle di Posillipo. Il suo ricordo si confonde con l'oleografia: in una città che ha da sempre un disperato bisogno di simboli da idolatrare, il pinus pinea segnava il limite occidentale del panorama napoletano, contrapponendosi al pennacchio del Vesuvio.

Il Pino di Posillipo è stato per anni l'albero più fotografato del mondo. Ha accompagnato i ricordi dei viaggiatori del Grand Tour e animato le vedute dei pittori della Scuola di Posillipo, ovvero della corrente di artisti dediti alla pittura di paesaggio, riuniti a Napoli, nel secondo decennio dell'Ottocento, prima intorno ad Anton Sminck van Pitloo e poi intorno a Giacinto Gigante.

Ne scrisse anni fa Vittorio Paliotti, custode tenace delle memorie napoletane.

Solo Vittorio, che pure non amava la Napoli da cartolina, poteva mettersi alla ricerca della data di nascita del Pino di Posillipo. Ecco la sua ricostruzione: «La data di avvio, quella che ci permette di ricostruire la biografia del pino, sta in un disegno di Giacinto Gigante, rimasto inedito fino al 1949. Ebbene in quel disegno, che Gigante stesso chiamò “Panorama da Sant'Antonio a Posillipo”, il pino non c'è, assolutamente non c'è. Considerato dunque che i pittori della Scuola di Posillipo praticarono il paesaggismo fino e non oltre il 1855, anno dopo il quale ciascuno di essi sarà preso da altri interessi, si arriva alla conclusione che quel pino che poi sarà reso famoso dalle cartoline, fu piantato, o almeno diventò adulto dopo il 1855. Questa data combacia perfettamente con il prosieguo della vicenda. Sappiamo, infatti, che il pino si ammalò e venne abbattuto nel 1984: i centoventinove anni di distanza corrispondono, grosso modo, alla possibilità di vita di un albero di quella specie».

Nel 1996, durante una Festa dell'Albero organizzata da Legambiente, la piantumazione del nuovo albero. Carmine Maturo, a lungo dirigente regionale di Legambiente, ricorda bene quel giorno. «Prima che questa celebrazione diventasse una festa nazionale, Legambiente si impegnava già da decenni nella sua organizzazione nazionale. L'antico Pino, che da secoli aveva adornato le cartoline con lo sfondo del Golfo di Napoli in via Minucio Felice , venne abbattuto poco prima dopo circa 150 anni, lasciando un vuoto simbolico. Fu così che durante quella memorabile festa, con il coinvolgimento di enti pubblici e privati, un nuovo piccolo albero prese vita. Il Corpo Forestale donò il Pino, il Servizio Giardini dopo tanti sopralluoghi lo piantò vicino alla chiesa di Sant'Antonio a Posillipo. Quell'evento non solo riaffermò l'impegno per la natura, ma diede nuova vita a un simbolo radicato nell'immaginario napoletano in tutto il mondo».

Sebbene più piccolo del predecessore (due metri di fusto e un metro di radice), il nuovo albero portava un significato simbolico profondo, incarnando un'idea rappresentata da un efficace slogan: «Per riappropriarsi delle radici (verdi) e storiche della città». 

E oggi? Dopo quasi tre decenni, anche il nuovo Pino di Napoli ha sofferto, come tanti altri alberi, di scarsa manutenzione e cura. La recente decisione di una commissione comunale di non piantare più pini lungo le alberature stradali rappresenta, a giudizio di Legambiente, un colpo per le radici storiche e paesaggistiche della città. «Questa prospettiva sembra privilegiare un'ottica autoveicolare, senza tenere conto della presenza delle persone e della natura. È una scelta che sembra ignorare l'importanza di preservare il paesaggio, un retaggio del passato che si scontra con l'attuale contesto urbano, nell'era dei cambiamenti climatici».

«Ci dovremmo piuttosto preoccupare di quella che Fabrizio Cembalo Sambiase (presidente della sezione Campania Basilicata Calabria dell'Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio) definisce in modo illuminante “la casa dell'albero in città” ci dice Benedetta de Falco, fondatore e presidente dell'Associazione Premio GreenCare e cioè che tipo di accoglienza e manutenzione siamo in grado di assicurare ad una nuova stagione di verde urbano a Napoli. I cambiamenti climatici obbligano, unitamente alla penuria di maestranze qualificate, alla scelta di specie più idonee a vivere in città, tenuto conto di tutte le sollecitazioni cui sono sottoposti gli alberi in ambiente urbano. Una corretta gestione del verde urbano avrebbe per tempo dovuto sostituire gli ammalorati per senescenza pini di Posillipo con nuova vegetazione per evitare il trauma estetico subìto dalla Cittadinanza, con tutto il degrado che ne è seguito con le ceppaie a vista. Un tavolo di lavoro, in cui il Comune di Napoli ha ragionato assieme alla Soprintendenza ed esperti accademici di settore, è addivenuto a scelte che segnano l'orientamento per il futuro verde della nostra città e che ci vedono soddisfatti. Un inno alla biodiversità con platani, aceri e lecci, vegetazione robusta e con prospettive di vita ampie, questa volta messi a dimora ad una distanza di almeno 8 metri».

Gli errori del passato, insomma, hanno fornito una memorabile lezione anche sul distanziamento! I nuovi alberi avranno bisogno di cure importanti per i primi tre anni per farli crescere forti e robusti. «Speriamo - dice ancora Benedetta De Falco - che il Comune si attrezzi con fondi ed organico anche per questo. Non abbiamo nostalgia per il paesaggio del passato ma un grande desiderio per un futuro verde e sano». 

Dei pini di Posillipo, intanto, non restano che macerie. La strage è compiuta, il delitto è perfetto, consegnato agli annali della città svilita. Dovremmo rallegrarci per l'ok di Comune e soprintendente alla ripiantumazione di alberi, di specie diverse dal pino, nelle principali strade di Posillipo? Proprio non ci riusciamo: platini e lecci scongiureranno, forse, il rischio di attacchi parassitari e nuovi abbattimenti, ma non serviranno a farci dimenticare lo scempio.

L'orribile scempio di un paesaggio urbano sventrato da anni e anni di mala-manutenzione. 

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