«Un turista conoscitore della storia napoletana non passerà mai per piazza Mercato senza un leggero brivido alla schiena»
(Mario Stefanile, Aria di Napoli).
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Il tesoro gotico della città è un lascito della memoria depositato in un luogo macchiato di sangue: la chiesa di Sant'Eligio Maggiore, capolavoro di epoca angioina, fu costruita nel 1270 su richiesta di tre mercanti francesi, nella zona del Campo Moricino, a poca distanza dal luogo dove Carlo I d'Angiò aveva decapitato Corradino di Svevia, ultimo pretendente al trono del Regno. Siamo a pochi passi da piazza Mercato, la grande e tragica piazza testimone degli episodi più cruenti della storia della città: luogo macabro e glorioso, teatro di ribellioni, delitti, esecuzioni capitali e sepolture.
Quanta storia è passata davanti all'ingresso della chiesa e al suo splendido portale strombato, tipico dell'architettura gotica francese. L'orologio bianco di Sant'Eligio scandì il tempo di piazza Mercato fino al 28 marzo del 1943. Quel giorno la nave Caterina Costa, diretta in Tunisia, esplose all'interno del porto di Napoli. Dalla nave carica di novecento tonnellate di esplosivo, carri armati, munizioni, cannoni e più di mille tonnellate di benzina nelle stive, all'improvviso si alzò una colonna di fumo e di fuoco. L'onda d'urto, e non solo, investì Napoli coinvolgendo anche la zona di piazza Mercato; una lamiera veloce quanto un proiettile trafisse l'orologio della chiesa di Sant'Eligio e le sue lancette si fermarono.
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La più antica chiesa gotica della città fu costruita per iniziativa di tre mercanti francesi, venuti a Napoli al seguito di Carlo d'Angiò: è dedicata ai santi francesi Eligio, Dionigi e Martino (dal 1279 solo Sant'Eligio). Dunque è la più antica tra le chiese della Napoli angioina. Re Carlo, devoto di Sant'Eligio, volle che alla chiesa venisse annesso un ospedale: l'Ospedale de' poveri ciechi e dei mutilati in servigio del Re. Inoltre stabilì che quel sito servisse a dare sepoltura ai forestieri, perlopiù francesi e provenzali, che non avevano né famiglia né residenza a Napoli, venuti in Italia come mercanti, soldati, maestranze. Difficile immaginare che lo spietato sovrano cercasse, in questo modo, di mettere a tacere la propria coscienza. È un fatto, però, che proprio nei pressi della chiesa di Sant'Eligio il re angioino si fosse liberato per sempre, e nel modo più brutale, del suo grande rivale, Corradino di Svevia, che aveva osato sfidare il suo regno e al comando dell'esercito ghibellino fu sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo. Il giovane principe svevo, nelle cui vene scorreva il sangue di Federico II, stupor mundi, fu decapitato il 29 ottobre del 1268 nel campo del Moricino, l'antico nome di piazza Mercato. La leggenda racconta che prima di morire gettò tra la folla un guanto di sfida prima di porgere il capo al boia. Il suo cadavere fu trascinato verso il mare e lì abbandonato, coperto solo da un tappeto di pietre, come si usava sui campi di battaglia. Sua madre Elisabetta, che nel frattempo era partita per Napoli con un tesoro nella speranza di riscattare il figlio, riuscì a ottenere per l'ultimo Staufen una sepoltura dignitosa, e l'oro della famiglia fu utilizzato dai frati carmelitani per ingrandire la loro chiesa, la basilica santuario del Carmine Maggiore.* * *
Il tesoro gotico della città, Sant'Eligio, lega invece ancora oggi il suo nome a un'altra fosca leggenda, ambientata nella Napoli del 500.
Alla fine il Duca dovette pentirsi amaramente del misfatto perché «Isabella lo condannò a dotare e sposare la giovane, solennemente e in pubblico, sopra un palco della piazza del Mercato, e subito dopo lo fece colà stesso decapitare». Stupefacente quello che accadde dopo. Le teste due due sposi furono scolpite in marmo bianco e poste sopra l'arco che sorregge l'orologio di Sant'Eligio. E sono tuttora visibili, a ricordo di quel sopruso e della sua punizione, a chiunque si trovi a passare davanti a questo angolo di Medio Evo nel cuore della città. Va detto che nel descrivere la leggenda Croce ne prende le distanze: «Nessuno dei parecchi cronisti napoletani che ci hanno lasciato i diari degli anni nei quali il fatto sarebbe accaduto, ne dice verbo». Il piccolo arco a due piani un tempo univa le due ali dell'ospedale di Sant'Eligio, dove fu poi istituito, sotto la dominazione spagnola, un educandato femminile, dove le ragazze venivano avviate all'attività di infermiere. L'arco ha ospitato a suo tempo anche una stanzetta in cui i condannati a morte trascorrevano le ultime ore prima di essere giustiziati. L'orologio, invece, è collocato sul primo livello. Alla sua base sono tuttora visibili le due teste di marmo. Virile e barbuta la prima, femminile a la seconda. Simbolo indelebile di quella che Croce definì la «leggenda della giustizia esemplare».