All'ombra di Ladislao tra intrighi, veleni e un giardino “segreto”

Un luogo di memoria alle spalle della trecentesca chiesa di San Giovanni a Carbonara

La chiesa di San Giovanni a Carbonara
La chiesa di San Giovanni a Carbonara
di Vittorio Del Tufo
Domenica 18 Giugno 2023, 10:00 - Ultimo agg. 10:05
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«La terra è un paradiso. L'inferno è non accorgersene»

(Jorge Luis Borges)

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Un giardino medievale nel cuore della città, un luogo magico e ricco di storia dedicato a un celebre Re. Il giardino è quello che sorge a ridosso della chiesa di San Giovanni a Carbonara e il Re è Ladislao d'AngiòDurazzo, vissuto tra la fine del 1300 e l'inizio del 1400.

Un'oasi di pace, nascosto alla vista da altissime mura, a ridosso del complesso religioso di San Giovanni a Carbonara: così doveva apparire nel Medioevo il Parco di Ladislao. Un luogo incantato oggi chiuso al pubblico ma che dopo anni di abbandono diventerà nuovamente, a partire da agosto, uno spazio fruibile ed aperto a tutti.

Fu, nel 1329, il napoletano Gualtiero Galeota a donare ai frati di Sant'Agostino il giardino che si estendeva proprio ai margini della vallata. Qui i frati Eremitani decisero di costruire una chiesa dedicata a San Giovanni, i cui lavori cominciarono nel 1339, su progetto dell'architetto Masucio II. Il giardino dei frati - costellato da aranci, nespoli, limoni, albicocchi ed un piccolo vigneto - è uno splendido esempio di hortus conclusus, ovvero di spazio medievale recintato, in questo caso da alte mura, tipico dei monasteri e dei conventi. Solitamente queste aree verdi non svolgevano solo una funzione decorativa ma venivano utilizzate, data la netta separazione dal mondo esterno, come luoghi per la cura dello spirito, oltre che per la coltivazione di piante aromatiche ed erbe mediche. Insomma i monaci badavano molto allo spirito, e alla vita contemplativa, ma non trascuravano la terra e i suoi prodotti; la loro antica sapienza, nella cupa e inquieta Napoli del 300, si esprimeva attraverso la tecnica con la quale coltivavano piante medicinali, oltre che agrumi.

Il parco di Ladislao era noto anche come "giardino dei semplici": simbolo del paradiso e dunque privo di peccato, contrapposto al bosco, popolato dalle fiere selvatiche.

Il piccolo polmone verde che affaccia direttamente sulla chiesa di San Giovanni a Carbonara negli ultimi anni è finito più volte al centro di polemiche per il suo degrado. Ma ora si volta pagina, promette il Comune, pienamente consapevole del valore turistico di un sito che è parte integrante del complesso architettonico e monumentale trecentesco.

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Pochi metri separano il Parco di Ladislao dal complesso monumentale di San Giovanni a Carbonara, una delle testimonianze più prodigiose dell'architettura medievale in città. La chiesa, anticamente, sorgeva su una piccola altura fuori le mura della città. Furono gli aragonesi a inglobarla nella cinta muraria. San Giovanni a Carbonara è da sempre un meraviglioso incubatore di storie e leggende. Qui, in questa recondita regione della città, i napoletani, senza incorrere nelle sanzioni della legge, potevano battersi in duelli all'ultimo sangue. Nel 1343 Francesco Petrarca, inviato dal Papa Clemente VI per una delicata missione diplomatica, fu invitato ad assistere a un evento particolarmente cruento (Giochi Gladiatori). Era un torneo al quale assisteva anche la regina Giovanna, con suo marito Andrea e tutta la nobiltà. Quello spettacolo si concluse con la morte di un bellissimo giovane, trafitto da un pugnale, il cui corpo esanime rotolò ai piedi del poeta. Per Petrarca era troppo. Raccolse armi e bagagli e fuggì via da Napoli, per non tornarvi mai più.

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E a San Giovanni a Carbonara sorge il grandioso mausoleo dedicato a re Ladislao (1377-1414) e a sua sorella Giovanna II (1371-1435) che gli succedette sul trono. Il monumento funebre si eleva per un numero considerevole di metri dietro l'altare maggiore della chiesa. La straordinaria opera che troneggia in fondo alla navata è sorretta da quattro colossali cariatidi e abbigliati come dee vestali e raffiguranti le quattro virtù: Temperanza, Fortezza, Prudenza e Giustizia. Più su, ecco le statue di Ladislao e della sorella Giovanna II, seduti sui rispettivi troni l'uno accanto all'altra. Ancora più in alto, c'è un'edicola di marmo dov'è collocata l'arca sepolcrale vera e propria, con Ladislao benedetto da un vescovo (benché fosse morto scomunicato) e due diaconi. E non è finita: sulla sommità del mausoleo, il figlio di Margherita di Durazzo, il rivale di Carlo d'Angiò, il giovane re coraggioso e spregiudicato che voleva unificare l'Italia sotto il vessillo di Napoli, è raffigurato di nuovo vivente e trionfante a cavallo, con la spada levata, quasi a grattare il soffitto.

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All'ombra della grande chiesa trecentesca si consumarono intrighi, vendette, giochi di potere. Quattro volte il giovane Ladislao di Durazzo - incoronato re nell'esilio di Gaeta il 29 maggio 1390 - tentò la conquista della capitale del Regno: nel 1393, nel 1394, nel 1395 e nel 1396. Ogni volta si spinse fin sotto le mura e ogni volta fu ricacciato indietro. Gli Angioini riuscivano a mantenere le posizioni e a rafforzare i presidi ai castelli della città. Nel 1399 Ladislao decise che era venuto il momento di farla finita con il rivale. E il vento della storia, per Napoli, cambiò di nuovo. Ma che sovrano fu Ladislao di Durazzo? In parte oscurato dalla fama sinistra che ha circondato la figura della più famosa sorella Giovanna, l'ultimo discendente maschio del ramo dei Durazzeschi fu uno spirito inquieto. E a modo suo un precursore: provò addirittura a riunificare l'Italia sotto la corona di Napoli, un'impresa impossibile a quel tempo. Come la sua vita, anche la sua morte è ammantata di leggenda. Era il 6 agosto 1414. Il re si svegliò sudato e agonizzante a Castel Nuovo, dove era stato trasportato quattro giorni prima in lettiga, perché non riusciva a stare a cavallo. Aveva 37 anni ed era l'alba del suo ultimo giorno. Una febbre improvvisa lo aveva sorpreso due settimane prima a Perugia, dove si era stabilito prima di sferrare l'attacco decisivo a Firenze, gemma che ancora mancava al suo tesoro di conquiste. Nessuno riuscì a diagnosticare la sua malattia, ma in molti parlarono di veneficio, e di un complotto ordito dai fiorentini per liberarsi della sua minaccia.

Fu tirato in ballo anche un velenosissimo unguento che un medico senza scrupoli avrebbe cosparso sulle parti genitali della propria figlia, una delle tante amanti di Ladislao, per attirare il sovrano - che amava praticare il cunnilingus - nella trappola mortale. L'ultima notte d'amore fu così fatale al re guerriero, che in pochi giorni divenne l'ombra di sé stesso. Realtà o leggenda? L'unica certezza è che quando, ai primi di agosto, Ladislao entrò a Castel Nuovo, già delirava.

Quel giorno c'erano due donne a vegliare al capezzale del sovrano. La prima era la sorella, la futura Giovanna II, che già si preparava cingere la corona, perché Ladislao non aveva eredi. La seconda era la terza moglie di Ladislao, Maria d'Anghien, costretta per anni a dividere le stanze del Castello con le concubine del consorte. Il re fu avvolto nel sudario, con il globo e lo scettro, e calato nella tomba. Alla cerimonia, con la sorella e la terza moglie di Ladislao, erano stati chiamati ad assistere anche i nobili dei principali sedili cittadini.

E, con questi ultimi, un gruppo di monaci convocati per cantare il Miserere, a testimonianza del fatto che il terribile Ladislao, il re guerriero con la spada levata in cielo, in punto di morte cercò di riconciliarsi con tutti, anche con il Padreterno. 

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