Benedetto Croce, le scarrafonere e Indiana Jones: Napoli ai tempi del colera

Viaggio nell'oceano della città-mondo cresciuta nei secoli su sé stessa

Napoli ai tempi del colera
Napoli ai tempi del colera
di Vittorio Del Tufo
Domenica 26 Novembre 2023, 10:00
6 Minuti di Lettura

«Tutta la città era schiacciata dal timore del colera invadente. Nei fondachi luridi ed oscuri di Porto, del Pendino e del Mercato, nei vicoletti tortuosi della bassa Napoli, simili a budelli ricolmi di lordure, l'epidemia faceva strage spaventosa»

(Eduardo Scarpetta).

* * *

Si può dire, di Napoli, ciò che disse Balzac a proposito di Parigi: gettate pure la sonda, non ne conoscerete mai la profondità: questa città è un vero oceano. Nell'oceano della città-mondo, cresciuta nei secoli su sé stessa come un immenso alveare di pietra, e dunque stratificata come poche altre in Europa, gettarono la sonda nella seconda metà dell'Ottocento gli architetti e gli ingegneri del Risanamento, il grande intervento urbanistico che mutò radicalmente e definitivamente il volto della gran parte dei quartieri storici della città, sventrandone il centro antico e dotandola di grandi arterie sul modello dei boulevard voluti dal barone Haussmann nella Parigi di metà Ottocento.

Un sindaco, più di altri, legò il proprio nome a quella stagione di grandi trasformazioni e in particolare alla bonifica dei quartieri bassi, dal Pendino alla Vicaria, dal Porto al Mercato. Si chiamava Nicola Amore e apparteneva a una famiglia di nobile stirpe (erano conti). Fu anche questore di Napoli e la piazza posta al centro del Corso Umberto, una delle realizzazioni più importanti del Risanamento, porta il suo nome.

* * *

Forgiata dall'insediamento delle più diverse civiltà mediterranee ed europee, polverosa Babilonia d'Occidente (però, a differenza della città ora irachena, mai morta, mai seppellita, ininterrottamente abitata e sempre pronta a mostrarsi e a nascondersi) la Napoli di fine 800 era allo stesso tempo una grande capitale europea e un immenso tappeto di stracci.

Gli urbanisti del Risanamento vi calarono la sonda e vi trovarono l'oceano. A dare la spinta definitiva alla legge per il Risanamento - che permise lo sventramento del cuore storico della città, con l'abbattimento di interi quartieri popolari e nuove strade e palazzi dove sorgevano tuguri e baracche - fu l'epidemia di colera che esplose a Napoli il 1 settembre 1884.

A Napoli, si diceva in quegli anni, il colera si beve. L'epidemia scoppiò nel 1884 - in vico Pacella all'Annunziata il primo caso - e in città fece più di 8000 morti. Fu in quel periodo che Guglielmo Melisurgo, che di mestiere faceva il tecnico comunale, avvertì la necessità di avviare un'esplorazione a tappeto degli antichi acquedotti, del sistema fognario ma anche dell'immenso labirinto di pietra su cui poggiava (e poggia) la città dei dissesti, che ieri (come oggi) presentava crepe a ogni angolo. Ad accompagnare il coraggioso ingegnere nel suo lungo viaggio fu Nunzio Esposito, capo degli operai addetti ai pozzi della città. Il viaggio sotterraneo di Melisurgo e del pozzaro Nunzio fu degno delle avventure di Indiana Jones. Un'impresa scientifica che l'ingegnere racconterà prima sul giornale Il pungolo e poi nel volume pubblicato nel 1889 con il titolo Napoli sotterranea. Un'opera fondamentale per le generazioni di studiosi e tecnici del sottosuolo che sarebbero venute dopo.

Negli anni precedenti, inutilmente, gli esperti avevano denunciato le pessime condizioni del sistema cloacale, le infiltrazioni delle acque luride nelle porose condotte tufacee delle acque potabili. E storici e letterati - da Pasquale Villari a Giustino Fortunato, da Renato Fucini a Jessie White Mario - avevano denunciato la gravità della «questione di Napoli» all'interno della «questione meridionale». «I bassi malsani, i fondaci sudici, le grotte degli spagari oscuravano adesso la tradizione oleografica delle ville di delizia digradanti da a Posillipo a Marechiaro» (Francesco Barbagallo, Napoli Belle Époque).

* * *

«Più di tutti, nero, nero, quel vicolo di Donnalbina, con due ruscelli di acque sudicie, con monticelli di immondizie qua e là raccolti, e dove sparsi; nero, non solo per la sua tetraggine naturale, per la sua sporcizia, ma nero anche per l'alta muraglia del monastero di Donnalbina». Così scriveva Matilde Serao illustrando una delle leggende più note, quella di «Donnalbina, Donna Romita e Donna Regina». Riprendendo un'antica leggenda la Serao raccontò la triste vicenda delle tre sorelle di casa Toraldo, tutte innamorate dello stesso uomo, messer Filippo Capece. Non essendone riamate, fondarono tre conventi che delle tre amanti sventurate conservarono i nomi. A quell'epoca la futura fondatrice del Mattino abitava in piazzetta Ecce Homo, nel cuore di una certa Napoli ancora oggi ricca di fascino e mistero dove lavoravano gli artigiani dei mobili, gli scultori e i pittori dei santi. Viuzze cupe che il Risanamento spazzò via o sventrò, nel ventre sudicio di una Napoli non bagnata dal mare.

* * *

Il piccone del Risanamento, pur sventrando gli antichi quartieri medievali, lasciò intatte le contraddizioni sociali. E la fondatrice del Mattino fu tra i primi a capirlo. «Sventrare Napoli? Credete che basterà? Vi lusingate che basteranno tre, quattro strade, attraverso i quartieri popolari, per salvarli? Vedrete, vedrete, quando gli studi, per questa santa opera di redenzione, saranno compiuti, quale verità fulgidissima risulterà: bisogna rifare» (Il ventre di Napoli). Nei vicoli che s'attorcigliavano un tempo nella zona oggi compresa tra via Medina, via Sanfelice e via Depretis, le parole terribili, profetiche, di Matilde Serao continuano a risuonare nelle nostre orecchie.

L'operazione Risanamento, da parte di molti intellettuali, fu celebrata come una ghigliottina capace di purificare la città delle scarrafunere, come le definì Salvatore Di Giacomo. Così Benedetto Croce, su Napoli nobilissima, a proposito dei lavori al Porto: «Dietro, si levano già, altissime, le costruzioni del Risanamento. Di questi grandi e pomposi edifizii tutti abbiamo detto, e diciamo, piuttosto male. Ma, in verità, chi li guarda con occhi ancora offesi dalla sozzura antica della Napoli morente, non può mostrarsi di un gusto estetico troppo sottile e raffinato. In quei palazzi bisogna vedere le macchine esecutrici di una giustizia troppo a lungo aspettata: sono vere ghigliottine, che tagliano la testa a centomila sozzure messe in fila, e che hanno forse solo il torto di non essere abbastanza. ghigliottine a vapore» (Benedetto Croce, Napoli nobilissima, L'agonia di una strada, 1894).

Il piccone di fine 800 ha cambiato la faccia di tante strade, altre le ha cancellate. Eppure, passeggiando per alcune zone della città, ancora oggi, si ha l'impressione di vivere in un tempo sospeso.

È il caso di Rua Catalana, nei cui pressi Giovanni Boccaccio ambientò la celebre «novella quinta della seconda giornata» del Decamerone, facendo muovere il protagonista Andreuccio da Perugia tra le viuzze, i vicoli malfamati e i bordelli che tanto piacquero, parecchi secoli dopo, a Pier Paolo Pasolini. Sono i fondaci bui del Porto dove il giovane mercante Andreuccio (Ninetto Davoli nella trasposizione cinematografica) girovagava mezzo nudo e senza un soldo in tasca dopo essere stato derubato con l'inganno da una vecchia megera e da sua figlia. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA