I segreti della Città Greca: quei vicoli di Neapolis da prendere con Filosofia

Altro che vicoli e vicarielli: all'origine dei Decumani v'era un preciso modello geometrico di ripartizione degli spazi

I segreti della Città Greca
I segreti della Città Greca
di Vittorio Del Tufo
Domenica 28 Gennaio 2024, 10:00
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«Qui non entri chi non conosce la geometria»

(Motto all'entrata dell'Accademia di Platone). 

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Neapolis, la città madre, era racchiusa dentro mura poderose costruite in blocchi di tufo aggrappate al dorso delle colline. Vi si entrava ed usciva attraverso porte fortificate e difese da torri quadrate, esagonali o tonde. Attraverso quei varchi è passata la nostra storia, attorno a quei varchi si è forgiata la nostra cultura: la Città Greca custodisce la nostra memoria di sangue e pietra. Non di tutte le porte antiche abbiamo notizia. Di alcune ci sono evidenze archeologiche, ovvero i resti rintracciati dagli archeologi nelle varie campagne di scavo. Di altre abbiamo conoscenza grazie alle appassionate ricerche di studiosi del calibro di Bartolommeo Capasso, che alla Napoli greco-romana ha dedicato il suo libro più importante.

Tanto si è scritto sulle origini di Neapolis. L'acropoli, l'agorà, le mura, le porte, le strade. Gocce di memoria. Un nuovo studio, seguito di una rigorosa ricerca accademica condotta da Teresa Tauro con l'Università Federico II, con il centro Cirice, il docente di Storia dell'architettura Alfredo Buccaro e il docente emerito di Storia Greca Alfonso Mele, ci restituisce l'iniziale nucleo urbano della colonia greca come una città ideale per il mondo conosciuto dell'epoca. Porta la firma di Teresa Tauro, architetto che collabora da anni con la Sovrintendenza e l'Arcidiocesi, occupandosi di restauro monumentale ed archeologico oltre che di Neapolis e della sua origine. Quali segreti nasconde il tracciato urbanistico della città, l'impianto che ancora oggi resiste inalterato, con la geometrica alternanza di plateai e stenopoi (decumani e cardi in epoca romana)? Sono le domande che dovremmo porci tutti quando ci incamminiamo per il centro storico, per i suoi infiniti labirinti, e ne restiamo smarriti, perché il degrado (e il caos) ci impediscono di vedere oltre.

E invece dovremmo chiederci se c'è un disegno, nell'atto fondativo della città. Un disegno che continua a sfuggirci, che non riusciamo a scorgere.

Nel suo «Napoli greca. Alla scoperta della città antica» - appena pubblicato per Intra Moenia con le foto di Sergio Siano, sarà presentato da Alfredo Buccaro, Stefano De Caro e Bruno Discepolo mercoledì 31 alla Feltrinelli piazza dei Martiri - Teresa Tauro ci mostra questo disegno. Alla base dell'impianto urbanistico della Napoli greca v'è un modello geometrico di ispirazione Jonico-Pitagorico, diventato paradigma di una città ideale nei secoli successivi. Ma dove nascono le geometrie di Neapolis? Dove nasce l'intreccio, così armonico e preciso, tra plateai e stenopoi, tra decumani e cardini? Dai rilievi archeologici, ma anche dalla cartografia, dalla morfologia e dall'orografia del pianoro su cui si sviluppò la città nuova (che aveva soppiantato la città vecchia, Palepoli) appare evidente che «Neapolis non poteva essere una città nata spontaneamente o per caso, ma aveva seguito nella sua edificazione un progetto unitario rigorosamente geometrico, armonico e proporzionale, che rispecchiava le conoscenze dell'epoca. E che la sua forma era idealmente circolare con un grande quadrato al centro della città».  

Lo studio delle geometrie di Neapolis» - che ancora oggi sono evidenti nell'alternanza di decumani e cardini - ci porta molto indietro nel tempo. Ci porta, più esattamente, al 530 avanti Cristo, quando arrivò in Italia un gruppo di colti aristocratici greci in fuga da Samos (Grecia dell'est) e dalla tirannide di Policrate: una parte si fermò a Crotone, con Pitagora, un'altra giunse in territorio cumano. Si trattava di architetti, matematici e filosofi che diffusero anche sapere e innovazione. Portando con sé le acquisizioni filosofiche della Jonia, la loro patria, i Samii (da Samos) trovarono benevola accoglienza da parte dell'aristocrazia al potere in quegli anni a Cuma. I Samii conoscevano molto bene gli insegnamenti di Talete e Pitagora, e portarono nella nostra terra anche le loro conoscenze in materia di architettura, di urbanistica, di geometria e di numerologia. Secondo il pensiero di questi matematici-filosofi, i numeri non sono tanto importanti in sé stessi, ma per i rapporti che intercorrono tra di loro, rapporti che devono essere considerati vincolanti anche nel microcosmo.

Erano concetti del tutto innovativi, diffusi in Grecia da Talete e dai filosofi Jonici della natura (Talete da Mileto, di stirpe fenicia, è il fondatore della Scuola Jonica). Secondo queste nuove teorie, la salute dell'uomo si basa sull'armonia, sull'equilibrio e sull'ordine delle forze naturali. Applicando questi concetti alle città (aggregazioni di uomini), i filosofi-matematici sbarcati a Neapolis erano persuasi che l'armonia (anche urbanistica) fosse una precondizione per la salubrità dei centri urbani. La salubrità di una città, sostenevano, è determinata anche dall'orientamento del suo sistema di strade. «A Napoli - spiega la Tauro - questo sistema orientato sarà costituito dalle tre plateiai (strade larghe) principali e i circa ventuno stenopoi (strade strette) ortogonali ad esse. In base ai dettami della nuova filosofia, la disposizione ortogonale delle strade e il loro orientamento a est-nord-est, il primo quadrante della rosa dei venti, avrebbe impedito ai venti freddi dominanti di Maestrale, provenienti da nord-ovest, di propagarsi con violenza nella città, ingolfandosi nel labirinto dei vicoli. Invece a Neapolis - scrive l'autrice - la salubre e mite brezza del Grecale-Levante, proveniente dal settore ad est-nord-est, si sarebbe facilmente incalanata lungo le strade orientate verso questa direzione senza che si frapponesse nessuna barriera fisica a rallentarne il flusso benefico, e avrebbe così spezzato via le malariche arie provenienti dalle paludi a est della città».

Il nuovo sapere che da Talete prima, e poi dagli allievi filosofi della scuola di Mileto verrà perfezionato, permeerà di sé tutta la Magna Grecia. L'urbanistica di Neapolis, il tracciato delle strade, saranno dunque influenzate dalle teorie dei filosofi-matematici approdati a Cuma e accolti dall'aristocrazia al potere in quegli anni. Pitagora di Samo (569 A.C. - 475 A.C.) fu allievo di Talete. Tutta l'Italia meridionale subì l'influsso del suo sapere matematico, basato sui concetti di armonia e proporzione. E Nea-pòlis, Città Nuova, fu il teatro privilegiato per sperimentare i nuovi criteri di suddivisione dello spazio urbano, proporzionale e armonico.  

Molti anni dopo i filosofi Jonici e Pitagorici, il grande architetto Vitruvio prese a modello proprio la città greca di Neapolis, e le sue prodigiose geometrie, per descrivere la sua «città ideale». Vitruvio era l'architetto dell'imperatore Augusto, e certamente in età augustea ebbe un ruolo importante nella ricostruzione della città. Non è dunque un caso se, in pieno Rinascimento, un altro grande architetto, Fra' Giocondo, nell'illustrare il De Architectura di Vitruvio prenda a modello proprio l'impianto urbano di Neapolis. Le strade orizzontali sono più ampie di quelle verticali: riecco, nel capolavoro di Vitruvio illustrato da Fra' Giocondo, l'alternanza di plateiai e stenopoi, che si incrociano ad ogni angolo retto con strade più strette perpendicolari ad esse. Dietro la costruzione di Neapolis si nasconderebbe dunque un'operazione geometrica di ripartizione degli spazi, poi idealizzata da Vitruvio e dagli architetti rinascimentali, soprattutto in epoca aragonese. Dalla geometria all'urbanistica. 

(1/ continua

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