Avvocati a spese dello Stato
con il miraggio del compenso

Avvocati a spese dello Stato con il miraggio del compenso
di Viviana De Vita
Giovedì 10 Novembre 2016, 07:00 - Ultimo agg. 09:27
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Un giovane avvocato assume una difesa di fiducia: il cliente è ammesso al gratuito patrocinio. La penalista, dopo la conclusione del procedimento, inoltra l’istanza di liquidazione al giudice. È uno dei suoi primi incarichi e, fiduciosa, attende che quella somma, frutto della sua professione, venga liquidata. 

È il 2002: il decreto di liquidazione è arrivato 14 anni dopo ma l’avvocato quei soldi non può ancora riscuoterli perché deve attendere un’ulteriore comunicazione dall’apposito ufficio del tribunale di Salerno per emettere la fattura. È un caso limite ma è un esempio emblematico delle attese estenuanti degli avvocati salernitani che, tra cancellerie sotto organico e giudici oberati di lavoro, sono costretti a lunghe tribolazioni prima di incassare quanto gli è dovuto per legge. È il 2000 quando la penalista Valentina Restaino, oggi dirigente nazionale di Mga, il movimento di Mobilitazione generale degli avvocati, e all’epoca appena iscritta all’albo, assume l’incarico.

È una difesa di uno straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato e, il legale ottiene la nomina dal cliente come difensore di fiducia. Il procedimento, davanti al giudice monocratico del tribunale di Eboli, si conclude due anni dopo e l’avvocato il 14 maggio 2002 deposita in cancelleria l’istanza di liquidazione degli onorari. Secondo quanto stabilito dalla normativa entro dieci giorni dalla presentazione dell’istanza il giudice dovrebbe pronunciarsi sull’ammissione della domanda e, nel giro di pochi mesi, il decreto di liquidazione dovrebbe essere sulla scrivania della penalista.

Se questa è la teoria, in pratica il pagamento delle proprie spettanze professionali da parte dell’autorità giudiziaria è peggio di una corsa ad ostacoli. Se nel caso dell’avvocato Restaino ci sono voluti 14 anni, in genere, che si tratti di gratuiti patrocini o di difese d’ufficio, tra l’istanza di liquidazione delle competenze e la successiva emissione del decreto di pagamento, l’avvocato è costretto ad attendere almeno 3/ 4 anni; anni che si sommano a quelli dell’attività processuale poiché le competenze dei difensori vengono maturate per fase (processo di primo grado, appello e poi cassazione), con la conseguenza che l’intera attività difensiva viene liquidata al termine di quella specifica fase e non prima; fase che può durare anche diversi anni. L’avvocato si ritrova perciò a dover lavorare per mesi se non per anni senza vedere compensi per quel determinato incarico ma quando, finalmente, al termine del singolo procedimento presenta l’istanza di liquidazione, comincia un nuovo calvario fatto di ostacoli burocratici e meccanismi farraginosi. 

Il primo scalino da superare, nel caso di difese d’ufficio, prevede la ricca documentazione da reperire per inoltrare la domanda al giudice che verifica i presupposti. Passano anni e il giudice emette il decreto di liquidazione. A questo punto si apre la seconda fase, quella delle notifiche. Il decreto deve essere trasmesso, all’avvocato, all’imputato e al pm. Questo ha 20 giorni di tempo per sollevare un’eventuale opposizione. Passano però altri mesi, a volte anni anche perché spesso la notifica all’imputato non va a buon fine: dopo di ché l’avvocato, dopo aver ricevuto la “fatidica” chiamata dall’ufficio del tribunale “spese pagate dall’Erario”, può finalmente presentare fattura per il pagamento. Nel complesso, l’avvocato per ottenere il pagamento delle proprie spettanze può arrivare ad aspettare anche dieci anni. Nei corridoi del palazzo di giustizia serpeggia il malcontento per una situazione che diviene, giorno per giorno, più intollerabile. 

«Tutto ciò – afferma l’avvocato Restaino – va a danno dei cittadini oltre che degli avvocati costretti, praticamente, a lavorare gratis. In queste condizioni saranno sempre meno i legali che accetteranno di assumere difese con il gratuito patrocinio e questo si ripercuoterà sui cittadini che non avranno un adeguato diritto di difesa».
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