Uno dei due ragazzi accusati di aver piazzato una bomba contro il ristorante di Luigi Cuomo, a Firenze, il 23 febbraio 2021, denunciò ore dopo il suo complice una volta ritornati a Nocera Inferiore. È il retroscena che emerge dall’inchiesta sul clan Cuomo dell’Antimafia di Firenze, ora ricostruito dalla Cassazione con le motivazioni con le quali viene rigettato il ricorso della Procura. Il Pm aveva chiesto il carcere per Sabato Mariniello. Il giovane nocerino era stato liberato dai giudici del Riesame, con annullamento dell’ordinanza del gip per carenza di esigenze cautelari. Questo, in ragione della denuncia che il ragazzo sporse nei confronti di Luigi D’Auria, l’altro nocerino quella sera in sua compagnia a Firenze, accusato di aver piazzato materialmente la bomba contro il ristorante di Cuomo. «L’indagato - spiegò il Riesame - resosi conto che le indagini avviate avrebbero presto permesso di individuarlo come partecipe alla spedizione intimidatoria, si era autodenunciato, coinvolgendo il suo complice, cui peraltro aveva addebitato la responsabilità assorbente dell’occorso». Quel comportamento, «ancorché dettato verosimilmente da intenti utilitaristici» - si legge - avrebbe di fatto troncato il rapporto fiduciario esistente con il gruppo malavitoso e con il complice stesso, esponendo l’indagato a rappresaglie, messe addirittura in atto». I due sono considerati dalla Dda vicini al «clan di Piedimonte», il quartiere di Nocera avverso a quello dei fratelli Cuomo. La cui guerra rappresenta il cuore dell’inchiesta di Firenze.
La Procura aveva fatto ricorso contro la scarcerazione di Mariniello, sostenendo che l’indagato si fosse autodenunciato per «alleggerire la sua posizione, dichiarando di essere stato percosso e minacciato da D’Auria, mentre i filmati attestavano che egli aveva partecipato ai fatti con piena libertà di autodeterminarsi - e avrebbe, ciò nonostante, incongruamente individuato un profilo di resipiscenza, capace di azzerare il rischio di reiterazione dei reati».