Da Pontecagnano all'Argentina: Giuseppe: l'imprenditore che diventa volontario

Titolare di un'azienda agricola trascorrerà le vacanze di Natale tra i più poveri

Giuseppe Morese
Giuseppe Morese
di Monica Trotta
Venerdì 17 Novembre 2023, 06:00
4 Minuti di Lettura

Non c’è occasione in cui Giuseppe Morese non faccia riferimento ai suoi dipendenti, al lavoro di squadra che - a suo dire - è alla base dei traguardi raggiunti dal caseificio di cui è titolare. Nobiltà d’animo e signorilità, quella vera, (la sua famiglia originaria della Provenza è arrivata nel 1265 nel Regno di Napoli), sono connaturati nel suo modo di essere e così profondi da spingerlo adesso verso una nuova avventura: fare volontariato nelle favelas in Argentina. Morese del resto le sfide le conosce. 54anni, è titolare a Sant’Antonio di Pontecagnano dell’omonimo caseificio con annessa azienda agricola, con 450 capi di bestiame, 80 ettari di terreno, 14 dipendenti ed una produzione di un paio di quintali al giorno tra mozzarella ed altri prodotti. Durante il Covid si è inventato i cacio bond, originale trovata perché- come lui racconta – si potesse trasformare «l’eccedenza in eccellenza». In pieno lockdown quando le vendite di mozzarella erano ai minimi storici ed il latte andava in eccedenza, ebbe l’idea di proporre in vendita il caciocavallo di latte di bufalo appena munto che si sarebbe poi ritirato al termine della stagionatura. Era un modo per acquistare subito e gustare dopo. Anche in quel caso la sua generosità venne fuori: il dieci per cento era destinato all’ospedale Cotugno di Napoli in quei giorni in prima linea per il Covid. 
IL CAMBIAMENTO
Adesso si apre un’altra parentesi della sua vita. Dismette i panni dell’imprenditore e vola alla periferia di La Plata, città a 60 chilometri da Buenos Aires. È un sogno che coltivo da tempo, mi ero già candidato due volte per andare in Perù ma poi la cosa non si è concretizzata – racconta Giuseppe Morese – Parto con We Care un’organizzazione che realizza progetti umanitari in diverse parti del mondo a cui partecipano ragazzi ed adulti, promossa da Fernando Lozada Baldoceda. Fanno tante cose belle ed importanti grazie alla forte spinta emotiva del suo fondatore che ho avuto modo di incontrare e che mi ha totalmente coinvolto». Ma cosa spinge un imprenditore dalla vita impegnatissima a lasciare tutto, sia pure per un breve periodo, ed affrontare un’esperienza così diverse dalla sua quotidianità? «Ho bisogno di ossigeno - racconta Morse - Starò via due settimane, dal 21 dicembre al sei gennaio. Saranno sicuramente delle vacanze di Natale diverse dal solito. Mi fa piacere stare insieme agli altri, conoscere nuovi posti, ma so benissimo che andrò anche a lavorare. Ci hanno detto di portare guanti e stivali. Bisogna costruire delle abitazioni in legno ed un campo di calcio nella periferia della città. Sarà faticoso, ma la fatica sarà ampiamente ripagata da quello che vedrò intorno a me. Si starà anche molto a contatto con i ragazzi aiutandoli nello studio, giocando con loro».

È un progetto in cui sono coinvolti sia genitori che figli. Morese sarebbe dovuto partire con Raffaele, 20 anni, il suo primogenito, che però ha dato forfait per motivi di studio. «Ho chiesto di regalare il biglietto che avevo già acquistato per mio figlio ad un altro ragazzo che aveva voglia di fare un’esperienza del genere ma non la possibilità economica di partire - prosegue Morese - Partirò con Giovanni, un ragazzo romano».

L’ultima missione di We care è stata in Ruanda. «Siamo tornati ai primi di novembre, siamo stati con quaranta persone adulte - racconta Fernando Lozada Baldoceda - Abbiamo costruito una scuola con quattro aule perché i bambini possano avere anche lì un’istruzione completa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA