Racket trasporti a Salerno,
condanne bis per il delitto Autuori

Racket trasporti a Salerno, condanne bis per il delitto Autuori
di Angela Trocini
Mercoledì 30 Marzo 2022, 06:05 - Ultimo agg. 08:20
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I giudici di appello non fanno sconti ai killer dell’autotrasportatore picentino, Aldo Autuori, ucciso nell’agosto 2015 a Pontecagnano Faiano. La Corte di assise di appello di Salerno (presidente Massimo Palumbo) ha confermato i 150 anni di carcere complessivi che, in primo grado al termine del rito abbreviato, furono inflitti ai cinque imputati, condannando a 30 anni di reclusione ciascuno Francesco Mogavero (difeso dagli avvocati Massimo Torre e Paolo Toscano) ed Enrico Bisogni (difeso dagli avvocati Luigi Gargiulo e Raffaele Francese), entrambi ritenuti mandanti dell’esecuzione delittuosa; Luigi Di Martino (difeso dagli avvocati Dario Vanvitiello ed Antonio Garofalo) con il ruolo di intermediario; e, ancora, Stefano Cecere (difeso dagli avvocati Paolo Trofino e Sergio Aruta) e Francesco Mallardo (difeso dall’avvocato Gianpaolo Schettino). 

IL MOVENTE E LO «SGARRO»
Secondo l’accusa, confermata anche dai verdetti di primo e secondo grado (ora bisognerà leggere le motivazioni anche del processo d’appello e decidere per un ricorso in Cassazione) dietro l’omicidio di camorra ci sarebbe il racket dei trasporti: un «affare» lucroso, quello del trasporto su gomma, in cui Autuori voleva rientrare avendo riallacciato i rapporti con i vecchi clienti che, minacciati, erano stati costretti a servirsi dell’agenzia di Mogavero. Entrambi, infatti, avevano un’agenzia di trasporti ed Autuori, da poco uscito dal carcere dopo aver scontato una pena per omicidio, si era rimesso «su piazza» e - sempre secondo la ricostruzione dell’antimafia salernitana - nel corso di una discussione, lo stesso Autuori aveva «mancato di rispetto» a Bisogni e Mogavero. Una volta deciso l’omicidio, per metterlo a segno, gli eredi del clan Pecoraro si rivolsero ai sodali del clan Cesarano (con cui erano in affari per la droga) ricorrendo allo storico «patto di amicizia» tra la consorteria bellizzese e i boss di Castellamare in modo da reperire i killer e mettere in atto il piano omicida contro il rivale. Del resto l’omicidio fu messo a segno in una sera di fine agosto (intorno alle 20,30) in via Toscana, davanti ad un bar e in una zona molto trafficata (a pochi metri c’è una scuola e un po’ più distante la stazione ferroviaria). La stessa vittima era in compagnia della moglie, un nipotino e la cognata oltre ad essere presenti altri avventori dell’esercizio pubblico (che fa ad angolo tra via Toscana e via Alfani) e neanche il tentativo di fuga dell’Autuori (che tentò di trovare riparo dietro un furgoncino parcheggiato lungo la strada) servì a salvargli la vita, raggiunto da una decina di colpi di pistola. In tanti, quindi, sentirono esplodere i colpi di arma da fuoco (sembra due pistole) e videro Aldo Autuori stramazzare a terra. Fu colpita anche la moglie della vittima, per fortuna di striscio da una piccola scheggia di asfalto saltata sotto l’esplosione dei colpi.
 

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