A ucraino bocciata la protezione
ma il giudice: «Dovrebbe combattere»

A ucraino bocciata la protezione ma il giudice: «Dovrebbe combattere»
di Petronilla Carillo
Mercoledì 13 Luglio 2022, 06:30 - Ultimo agg. 08:28
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Diritto alla protezione sussidiaria a causa di una minaccia grave e individuale alla vita. È quanto riconosciuto dal tribunale di Napoli ad un cittadino ucraino, domiciliato a Buccino, ma fermato a Caserta per un controllo, e per il quale la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva bocciato l’assistenza sentenziando, di fatto, il suo rimpatri in Ucraina. Marymin Oleksandr, 29 anni, rappresentato dall’avvocato Antonio Cammarota, ha però presentato ricorso contro quel provvedimento per evitare il rimpatrio che, vista l’età, avrebbe significato per lui arruolamento forzato nelle milizie in combattimento contro gli invasori russi così come previsto dalla legge marziale emanata dal presidente Zelensky.

Grazie a questo provvedimento, il primo nella sua specie che riguarda un cittadino non europeo e di un paese in guerra, comporterà una protezione internazionale per cinque anni e gli consentirà anche di poter ottenere un permesso di soggiorno.

Insomma, una sentenza che potrebbe fare giurisprudenza e che vedrebbe riconosciuta una sorta di obiezione di coscienza internazionale da parte dello Stato italiano. Nel corso dell’audizione presso la commissione territoriale per il riconoscimento delle protezione internazionale il 29enne era stato molto chiaro: aveva riferito di aver deciso di lasciare l’Ucraina a causa del timore di essere chiamato in guerra, in quanto provvisto del grado di tenente, e di essere partito, a 22 anni, nel febbraio del 2016, per giungere in Italia, dove già viveva la madre da circa 10 anni (a Buccino, appunto). Ha riferito, in particolare, di un obbligo vigente in Ucraina, per chi consegue la sua laurea, di prestare servizio militare per sei mesi, in caso di conflitto armato, al termine dell’anno di pratica. Ha dichiarato, inoltre, di non avere mai ricevuto, personalmente, alcuna comunicazione circa un possibile arruolamento nelle forze armate, ma di temere, in caso di rientro nel suo Paese di origine, di essere inviato sul fronte o di essere arrestato. Ha citato, infine, i problemi economici attraversati dall’Ucraina, quale ulteriore motivazione che ha influito sulla sua decisione di lasciare il Paese.

Motivazioni non ritenute sufficienti dalla commissione territoriale per accogliere l’istanza di protezione internazionale rilevando che le linee guida dell’Unhcr (alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati), sulle richieste di status di rifugiato connesse al servizio militare, esplicitino che, solo, una punizione arbitraria e sproporzionale, in risposta al rifiuto di una chiamata alle armi, possa configurarsi come un atto persecutorio. I giudici napoletani, invece, pour ammettendo che il giovane ufficiale non abbia mai avuto una lettere di convocazione per la guerra, tenuto conto della provenienza del ricorrente e della recente situazione in cui versa il suo Paese di origine, hanno ritenuto che la richiesta di protezione internazionale meriti accoglimento sotto il profilo della generale insicurezza caratterizzata da una situazione d’indiscriminata e diffusa violenza generata dal conflitto armato in atto fra l’Ucraina e la Russia sul territorio ucraino che pone a serio rischio l’incolumità della popolazione civile.

Del resto, si legge nella sentenza, «Amnesty International denuncia come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia abbia generato una crisi umanitaria senza precedenti nella storia recente dell’Europa, sottolineando, inoltre, che la Russia sta agendo in violazione della Carta delle Nazioni Unite e che l’intervento militare può essere classificato come un crimine di aggressione, secondo lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. L’invasione è, infatti, caratterizzata da attacchi indiscriminati a zone residenziali, strutture mediche, scolastiche e istituzionali, che stanno portando alla morte di numerosi civili ed alla distruzione delle loro case».

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