Terre del Principe non vendemmia: per il pallagrello si chiude un'epoca

La coppia Piancastelli e Mancini annuncia lo stop

Mancini e Piancastelli
Mancini e Piancastelli
di Luciano Pignataro
Sabato 16 Settembre 2023, 09:20 - Ultimo agg. 17 Settembre, 07:56
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Esattamente vent'anni dopo la nascita della cantina Terre del Principe a Castel Campagnano, Manuela Piancastelli e Peppe Mancini annunciano con un post su Facebook la loro intenzione di non vinificare la vendemmia 2023 e di restare aperti solo per vendere le bottiglie delle precedenti annate. «È difficile salire su un treno commenta Manuela ma ancora più difficile è scendere quando è ancora in corsa. Però a un certo punto è la decisione che andava presa: noi non abbiamo continuità e non ha senso sacrificarsi oltre quello che abbiamo fatto in questi due decenni».

C'è un tema generale che andrebbe sviluppato per commentare la decisione, ed è la tenuta delle aziende familiari che sono al tempo stesso la forza del sistema Italia per la loro mobilità e capacità di resilienza, ma anche il limite perché camminano in un orizzonte diventato ancora più piccolo dopo il processo di globalizzazione.

Ma è un tema sociologico, al quale bisognerebbe anche affiancare la difficoltà di tenuta della stessa istituzione familiare.

Possiamo però dire cosa hanno significato Manuela Piancastelli e Peppe Mancini per il vino campano e meridionale. Lei giornalista, lui avvocato, il loro incontro è stato di quelli fulminanti, quando si ritrovarono su una vecchia vigna di famiglia di lui. Da quel momento la comune passione per il mondo del vino e quella che ha come benzina l'amore si sono intrecciate in modo indissolubile creando un propellente potentissimo. Diciamola tutta, se oggi l'Alto Casertano ha tre vitigni identitari - casavecchia, pallagrello bianco e pallagrello nero - lo si deve alla intuizione di questa coppia straordinaria che scovò le uve decidendo di rilanciarle. Operazione non coraggiosa, coraggiosissima in un territorio dove Aglianico e Falanghina rischiavano, e rischiano ancora, di cannibalizzare gli altri vini di Terra di Lavoro. Insieme a Luigi Moio si creò un vero e proprio dream team capace di superare una dolorosa separazione nella vecchia compagine societaria, la Vestini Campagnano, che aveva iniziato l'avventura nel 1998.

Oggi sono quasi trenta le aziende che producono queste uve, che devono ancora però trovare un proprio profilo gustativo identitario per i rossi, mentre per i bianchi ci pare più definito, del resto venti vendemmie in una storia agricola sono un attimo. L'abilità comunicativa di Manuela e la profonda conoscenza del territorio, vigna dopo vigna, di Peppe, hanno creato il miracolo regalando vini straordinari, longevi, di carattere, dimostrando che il pallagrello bianco, terribilmente somigliante alla Coda di Volpe, ha grandi prospettive evolutive a chi lo sa aspettare.

Per una strana serie di circostanze il territorio dell'Alto Casertano ha subìto una incredibile trasformazione nel corso di questi ultimi due anni. La prematura scomparsa di Felicia Brini, a 45 anni nel 2021, poi la decisione di Giovanni Ascione di chiudere la spettacolare avventura di Nannì Copé, le cui vigne erano attigue a quelle di Manuela e Peppe.

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Quindi l'acquisizione di Galardi da parte dei Feudi e infine il post di ieri mattina di Terre del Principe. La verità è che un ciclo si sta chiudendo, i protagonisti del vino che noi abbiamo raccontato per primi sulle colonne del Mattino a partire dal 1994 o ci hanno lasciato oppure hanno passato la mano alle nuove generazioni.

I toni del post di Manuela non sono né tristi, né apocalittici, ma sereni. Quasi allegri. In fondo, non dimentichiamolo, lei stata anche un'ottima cronista, proprio del nostro giornale, che lasciò per fare la vignaiola. Per uno che lascia ce ne sono due che iniziano, nuove generazioni, nuovi stili, nuovi gusti, nuovi problemi, magari un clima generale meno esaltante dei mitici anni '90 quando tutto era possibile. E questo ricambio spinge all'ottimismo, alla voglia di raccontare ancora.

Una riflessione di fondo riguarda il territorio nel suo complesso: le narrazioni degli ultimi anni non hanno facilitato chi ha fatto buona agricoltura sul piano della comunicazione, questo ovviamente ha avuto dei limiti anche sulla quantità di valore generato e dunque sulla complessiva appetibilità sul mercato nazionale del prodotto. Per dirla breve, non siamo a Montalcino dove Biondi Santi, l'azienda bandiera, è stata acquisita dai francesi.

L'impegno di tutti, ciascuno per la sua parte, dovrebbe essere proprio costituire questo valore aggiunto, garantire un prezzo adeguato alle bottiglie e alla redditività dell'azienda da tenere in considerazione al momento in cui si decide di passare la mano, proprio come avviene nei territori vitivinicoli più avanzati. Forse l'unica nota amara non riguarda la scelta di Manuela e Peppe, ma proprio questo vuoto ancora da colmare nel nostro territorio.

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