La strana festa della donna: niente cortei e tutte a casa con l'incubo Coronavirus

La strana festa della donna: niente cortei e tutte a casa con l'incubo Coronavirus
di Raffaella R. Ferrè
Domenica 8 Marzo 2020, 06:00 - Ultimo agg. 17:33
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Qualcosa si impara sempre, anche nei momenti peggiori. Se questo sia il momento peggiore, non lo sappiamo; di sicuro una delle lezioni che il Covid19 ci sta già dando è che per evitare di ammalarci e, insieme, manifestare la nostra solidarietà e il nostro rispetto per gli altri, dobbiamo restarcene a casa. La casa è, da sempre e non sempre per scelta, il luogo delle donne. Non sono felice di questo, eppure lo sento vero, per me, che ogni giorno scrivo e lavoro dal tavolo della cucina. La mia è stata una decisione, una combinazione tra la mia asocialità, la precarietà e il lavoro che faccio e che si nutre soprattutto di solitudine. Ma per quante donne non lo è, non lo è stata? Una delle possibilità per festeggiare le donne, queste donne passate e presenti ai tempi del coronavirus è, allora, abbracciare parte del destino che gli è toccato in sorte per il solo fatto d'appartenere al genere femminile.

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Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, forse anche in previsione dei festeggiamenti per l'8 marzo, ha sollecitato le forze di polizia ad attivarsi per procedere alla chiusura di quegli esercizi pubblici come bar e pub che non rispettano le misure di sicurezza. Ma basta dare un'occhiata ai social per capire che sono decine i locali che continuano imperterriti nell'organizzazione di eventi, cene e spettacoli per la Festa della Donna, in alcuni casi con neomelodici come ospiti. Anche questo genere di situazioni renderebbe assai difficile il rispetto delle prescrizioni governative, come la distanza di almeno un metro tra le persone.
 

 

Mentre saltano anche parte degli appuntamenti dello sciopero transfemminista indetto dal gruppo napoletano «Non una di meno», non significa però che non dobbiamo occuparci delle motivazioni che sono alla base di tali iniziative e anche della ricorrenza, anche perché proprio l'emergenza coronavirus sta sottolineando come, ancora oggi, le condizioni sociali ed economiche delle donne siano svantaggiate rispetto a quelle degli uomini. La chiusura delle scuole, ad esempio, rende evidente un'atroce normalità: in troppi danno ancora per scontato che, mentre gli uomini devono poter lavorare senza impedimenti sempre e comunque, alle loro mogli e compagne tocca invece di fare sacrifici per lavorare e occuparsi contemporaneamente di casa e bambini.

Sono sempre le donne quelle coinvolte in prima linea quando c'è da occuparsi di un malato, di una cura, di una spesa, di una cucinata in più. E sono ancora le donne quelle che, per quanto lavorino, guadagnano sempre meno dei loro colleghi. Anche qui l'attualità ci fa riflettere: il grande apporto di operatrici sanitarie e infermiere ha un valore che, di solito dicono i dati a livello mondiale è retribuito con il 23% in meno di quello di un uomo che fa lo stesso lavoro, uno scarto definito dall'Onu come «il più grande furto della storia».

C'è poi la questione violenza e molestie: da diverse settimane, in città tiene banco la vicenda del professore dell'Accademia di Belle Arti che, in una sorta di copione sempre uguale, avrebbe coinvolto o tentato di coinvolgere varie studentesse in relazioni che andavano ben al di là del rapporto docente-allievo. Al di là di ciò che appureranno le indagini, le testimonianze delle ragazze evidenziano già la manipolazione e lo stress a cui sono state sottoposte al punto da costringere alcune di loro ad abbandonare le aule, ritornare a casa.
 

Ma neppure casa è sempre un luogo sicuro: lo scorso settembre, alla presentazione del rapporto annuale sulle attività dell'Osservatorio regionale sulla violenza sulle donne, emergeva un dato assai allarmante: nel 2018, si erano rivolte ai centri in 1.258; nel 39% dei casi a commettere violenza su di loro era stato il marito. Noi che, tutto sommato, godiamo di una certa pace domestica, noi che a farci paura o rabbia o noia è solo il coronavirus, dovremmo dirci allora privilegiati e accettare di fare quello che per secoli e ancora oggi è stato imposto di fare alle donne: starcene buoni a casa nostra, mantenere le distanze con gli altri, tenere in conto tutti i rischi che si corrono ad uscire. Normalmente si tratta di condizioni repressive e sessiste, specchio di una società patriarcale, frutto di anni e anni di prevaricazioni.

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Stavolta no. Stavolta, per quanto difficile sia accettarlo e metterlo in pratica, darvi ascolto è la cosa giusta. Ci sembra una punizione, come per secoli è stato per moltissime donne. Eppure, per salvarci dobbiamo fare come loro: resistere. E scoprire che anche tra quattro mura si può fare molto. Persino capire. Persino combattere. Persino sognare. E sì, persino festeggiare, in attesa di essere liberi di vivere. Auguri

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