Venezia 80, Jessica Chastain unica star Usa: «Hollywood? Meglio i film indipendenti»

L'attrice sfoggia una maglietta nera con la scritta «Sag Aftra on Strike»

Jessica Chastain e Peter Sarsgaard sul red carpet
Jessica Chastain e Peter Sarsgaard sul red carpet
di Titta Fiore
Sabato 9 Settembre 2023, 09:00 - Ultimo agg. 10 Settembre, 08:26
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Nell'ultimo giorno del concorso, arrivano i film d'amore. Amori maturi, difficili, storti, che a volte salvano la vita, a volte cancellano almeno i rimpianti. In «Memory» di Michel Franco Jessica Chastain è stata una bambina abusata dal padre e dai compagni di scuola. Ex alcolista, ora fa l'assistente sociale e a una riunione di vecchi studenti ritrova Saul (Peter Sarsgaard), affetto da demenza precoce, e le loro solitudini si intrecciano in un legame inaspettato e potente. In «Hors-saison» di Stéphane Brizé Alba Rohrwacher incontra in un centro termale nel Nord della Francia l'uomo che quindici anni prima l'ha lasciata per una star della tv. Lui è un attore di successo insicuro e pieno di ansie (Guillaume Canet), lei suona il piano e si è rifatta una vita. Ma è difficile, almeno per una notte, resistere al ricordo della passione.

Unica stella di Hollywood presente alla Mostra, un po' italiana grazie al matrimonio con un nobile veneto, Gianluca Passi, Chastain indossa una maglietta nera con la scritta «Sag Aftra on Strike».

In pratica un manifesto solidale con i colleghi americani (circa 160 mila riuniti sotto le due sigle) in sciopero per l'equo compenso. «È stato il sindacato a spingermi a venire» dice, «perché film indipendenti come questo possono essere il futuro del cinema. A Los Angeles la protesta è molto dura, c'è gente che non arriva a fine mese, spero che le major si decidano a sedersi presto al tavolo delle trattative». Ha all'attivo un Oscar per «Gli occhi di Tammy Faye», eppure dice: «Sono una primadonna di Hollywood nata nel paese sbagliato, non a caso la mia attrice di culto è Isabelle Huppert». Si sente estranea ai meccanismi dello star system: «Il bello di lavorare nei film indipendenti è che devi cambiare te stessa per adeguarti, mentre le grandi produzioni fanno il contrario, adattano la storia alle tue caratteristiche. Invece per me la storia è più importante delle performance». In ogni caso, per prepararsi a un ruolo non sfugge al metodo americano dell'immedesimazione totale. E quindi, per calarsi nei panni della protagonista di «Memory», mamma single con un passato di alcolista alle spalle, racconta di aver studiato a lungo: «Ho parlato con molti alcolisti anonimi e ho fatto per un periodo l'assistente sociale in un centro per adulti. Bisogna immergersi totalmente nel personaggio, prepararsi a dovere. Quanto ad essere una mamma single, so di cosa parlo, anch'io sono cresciuta solo con mia madre». Con i figli spiega di essere «perfezionista e ossessiva»: «Considero l'Italia la mia seconda patria e sono contenta che i miei ragazzi parlino perfettamente la vostra bellissima lingua». Ama i registi come Michel Franco, «capaci di sorprenderti e spiazzarti, la storia del film commuove proprio perché non si basa sui cliché». Interpreta una donna abusata che ha il coraggio di regalarsi ancora un po' di felicità e considera una mission la lotta contro la violenza sulle donne: «È un problema che c'è sempre stato, ma oggi se ne parla troppo poco, la battaglia si deve combattere giorno per giorno».

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Per accompagnare «Hors-saison», Alba Rohrwacher ha lasciato per un giorno il set della quarta serie dell'«Amica geniale», dove interpreta Elena/Lenù da adulta. Dice di essersi innamorata del film di Brizé leggendo il copione in aereo: «Se una sceneggiatura ti fa ridere e piangere allo stesso tempo, se non riesci a trattenerti e vedi che intorno a te gli altri si incuriosiscono, capisci che c'è un ruolo emotivo da abbracciare, qualcosa di coinvolgente». Il regista, reduce da una trilogia militante sul lavoro e la crisi economica, questa volta si è concentrato sui sentimenti («il film corrisponde al mio stato d'animo attuale, cui ha contribuito anche il Covid»). E raccontando di un divo bello e famoso depresso per la paura di sbagliare, analizza anche le fragilità dell'essere attore. «La storia affronta la dicotomia del nostro mestiere, quel mostrare il volto che si interpreta e nascondere il proprio» continua Rohrwacher. «In questo è molto divertente, ma l'aspetto che mi riguarda più da vicino è l'audacia del mio personaggio, la forza di uscire dalla sua zona confortevole e mettere tutto in pericolo, un atteggiamento che mi commuove». La prova più difficile? «Recitare un intero film in francese, ma Brizé mi ha protetta e ho sentito di potermi fidare. Mi sono perduta in lui e nella sua ricerca della verità senza trucchi». 

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