Elio e le Storie Tese a Napoli: «La terra dei cachi ha bisogno di noi»

«Ci siamo fermati perché ci sembrava di essere fermi, poi ci siamo mossi perché abbiamo capito che eravamo in movimento»

Elio e le Storie Tese
Elio e le Storie Tese
di Federico Vacalebre
Martedì 31 Ottobre 2023, 13:00
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In teoria Elio e le Storie Tese si sarebbero sciolti il 29 giugno 2018, ad ospitare quello che era stato annunciato come «l'ultimo concerto», fu il «Collisioni festival» di Barolo. Eppure, «eppure da allora ci siamo sempre stati, abbiamo registrato canzoni, fatto spot pubblicitari e il Concertozzo», racconta il bassista Nicola Fasani, per tutti Faso, classe 1965. E ora c'è anche il tour del ritorno, che porta la band al Bellini, stasera e domani.

Eelst come i Pooh, Faso?
«Divertente come paragone, ma no, ci eravamo sciolti per evidente rottura di balle nel fare sempre le stesse cose.

Nonostante la nostra manifesta follia le cose avevano preso la piega della routine, eravamo al servizio del nostro personale Neverending tour».

Eelst come Dylan, Faso?
«Lasciamo perdere i paragoni, è meglio. Ci siamo fermati perché ci sembrava di essere fermi, poi ci siamo mossi perché abbiamo capito che eravamo in movimento».

Ovvero?
«Quando ci siamo ritrovati per il Concertozzo benefico, soprattutto l'ultimo, ci siamo accorti che nel pubblico non c'erano solo combattenti e reduci, ma anche giovani, persino giovanissimi. In giro c'è voglia di Eelst, di musica suonata».

E Eelst hanno voglia di tornare in giro. Con un tour dal nome fedele alla linea surreal-wertmulleriana del gruppo: «Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo».
«Nel 1985, quando giravamo per localini, ci facevamo i manifesti, vabbè diciamo le locandine, da soli. Ritagliavamo parole da giornali e riviste, soprattutto da Cronaca vera, da Astra, dove c'era una rubrica in cui i lettori raccontavano i loro sogni e qualcuno li decodificava. Avevamo già attinto a questa fonte filosofica di verità per un titolo come Esco dal mio corpo e ho molta paura. Ora bissiamo, magari qualcuno vede il manifesto, abbiamo mantenuto anche i caratteri originali, e dice: Ma quel sogno era il mio!».

Vabbè, ma perché lo scioglimento/reunion di Eelst sarebbe diverso da quello dei Pooh?
«Ci eravamo davvero sciolti. E non so nemmeno se ci siamo davvero riuniti. Resta un mistero, come lo scioglimento del sangue di San Gennaro».

Touchè. Veniamo al concerto.
«Non è un concerto, ma uno spettacolo, con un regista come Giorgio Gallone. Le canzoni costruiscono un percorso narrativo, alla fine è un viaggio nell'Italia di oggi più che nella nostra musica di ieri».

Italia sì, Italia no, la terra dei cachi.
«È invecchiata, ha le vene varicose».

Cachi molli, molto molli, insomma.
«Cachissi direste a Napoli. L'Italia è un paese comico, noi siamo una band tragi-comica».

Nello show tanta musica suonata e tanto poco politically correct, dall'uso della parola «ricchioni» a frecciate di ogni tipo. E dopo?
«Boh, pensare a un album sarebbe inattuale, senza il supporto fisico quell'idea ha perso forza, magari torniamo ai singoli come negli anni Sessanta, che a quei tempi noi non c'eravamo ancora. Abbiamo tante cose nuove, o vecchie, abbozzate. Vedremo... Per ora c'è questo picaresco viaggio nel nostro repertorio tra ironia, incursioni surreali e filosofia assurdista».

Gallone dice che disegnate «un Belpaese italiota grottesco e contemporaneo, popolato di bellimbusti modaioli e adrenalinici o di improbabili ammaestratori di cozze, di onorevoli poco onorati o di coltivatori biologico/transgenici...».
«Se lo dice lui può darsi che sia vero: se ne intende di queste cose». 

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