Flo non si fida: «L'uomo normale? È pericolosissimo»

Flo 2020
Flo 2020
di Federico Vacalebre
Giovedì 12 Novembre 2020, 09:23 - Ultimo agg. 10:09
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Potrebbe ricordarti Carmen Consoli, non sapesse così tanto di world music, Sudamerica o sound d'Afrique che sia. Potrebbe ricordarti Mercedes Sosa, non avesse un sound urbano, un po' anni 70. Potrebbe ricordarti Chavela Vargas, non fosse così mediterranea. Floriana Cangiano, in arte Flo, al quarto disco si mostra scabrosamente nuda: i suoni immaginati per lei dal nuovo produttore Sebastien Martel vestono poco, e con sinuosa morbidezza, il suo canto libero (ma a tratti verrebbe da chiederle di liberarlo ancora di più, di liberarsi ancora di più, spudoratamente), la sua testimonianza da cantantessa, cantautrice, storyteller... «31salvitutti» esce domani, venerdì 13, a sfidare le dicerie, per l'etichetta napoletana Area Live. Un disco (su musiche di Michele Maione) che lei racconta dal buen retiro di Anzio: «Se dobbiamo aspettare che passi la nuttata della pandemia, almeno facciamolo con il cielo e il mare a portata di occhi, di piedi, di cuore». 

Il titolo allude a questo periodo? È un «tana libera tutti» per i nostri destini prigionieri del virus?
«Lo è diventato, ma è venuto prima del Covid-19, era un ricordo di me bambina a giocare in cortile, correndo a perdifiato per salvare me stessa e tutti gli altri». 

Trasformato in un esorcismo, il sogno di un miracolo, di una bambina, vabbè facciamo uno scienziato, liberatutti, liberamondo, scacciamascherine.
«Non era nelle mie intenzioni, ma la prima canzone, quella che dà il titolo al cd, voleva comunque essere una scelta di positività, come quella ingenua corsa verso la vittoria da condividere con tutti, come il futuro».

Il primo singolo, «L'uomo normale», mostra, con sonorità che a tratti profumano di De Andrè, l'omofobia, il razzismo, il fascismo latente nel vicino di casa, di scrivania, in noi stessi.
«Non addito il fascismo degli altri, ma quello che si nasconde in noi.

Quelli che dicono di avere tanti amici gay, me che quando ho letto del carabiniere che aveva ucciso un quindicenne armato di una pistola finta mi sono lasciata andare ad un'immediata condanna del ragazzo, senza ricordare che dietro quella Beretta finta poteva esserci un dramma, che non giustificava nessuno, ma dava un contesto a quanto accaduto, ne rimandava le colpe anche su di noi. Sono napoletana, dovrei sapere che è difficile vedere tutto bianco o nero, ma sono anche una donna a cui è appena capitato di essere accerchiata da una decina di muschilli in motorino; ero in macchina, con il mio fidanzato, avevo i vetri scuri, chissà per chi ci avevano scambiati, poi ci hanno lasciati andare, ma... che paura. Ecco noi tutti - uomini normali, democratici e comprensivi a chiacchiere - possiamo diventare razzisti e fascisti se ci toccano».

Due brani scelgono tematiche femministe. «La Gaviota» riscrive la novella di Fernan Caballero sulla ragazza libera come un gabbiano, da cui il nome, ne cancella il triste finale restituendole il corpo e la libertà di darlo a quanti e quando vuole lei. «Per guardarti meglio» è ispirata alla storia di Ilde Terracciano, che a 12 anni fu costretta a sposare il suo violentatore, un camorrista di 28 anni.

«Venduta dalla madre per 50.000 lire, a Ottaviano, meno di 50 anni fa. Due facce della stessa richiesta di libertà: quella di dire sì, quella di dire no. Di essere un corpo libero, un'anima libera, non solo un corpo da usare».

A proposito: è difficile guidare un gruppo di musicisti maschi?
«Non facile, diciamo che io ho dovuto faticare di più per farmi prendere sul serio. Se un cantautore dice alla band: ci vediamo domani alle 8 gli altri rispondono Ok. A me rilanciavano: Ma no, dai, facciamo alle 9».

«Miracolosa anarchica» è la tua definizione di Napoli: un ossimoro.
«Siamo sempre in attesa di un segno soprannaturale, anche se non c'è comandamento che tenga con noi. Amo la mia città, ho preso casa nel centro storico, l'ho vista conquistare i turisti, ma anche mettersi in posa per loro, vendersi. Siamo diventati più oleografici per spacciare meglio la nostra bellezza irredimibile».

Un disco da chanteuse che guarda ai suoni e alle linque del mondo.
«Accanto all'italiano, al napoletano di Accussì scritta con Sollo e Gnut, c'è lo spagnolo di La Gaviota su testo di Alessio Arena, il francese di Oui oui savage: meglio non chiudersi da soli in un ghetto, anche linguistico, anche culturale, senza mai però rinunciare alle proprie radici».

Quelle di «Radio Volkan»?
«Quello è il sogno di un radio ribelle che trasmette dal cono del Vesuvio, è il suono di chi non si mette da solo nella gabbia del sole, pizza e pomodoro, cose bellissime, ma che non bastano a definirci».

Hai fatto un pensierino per Sanremo?
«Dio me ne scampi e liberi. Ci andrei di cosa, se mi chiamassero, se qualcuno - che alle mie spalle non c'è - dicesse che siamo nelle condizioni di arrivarci. Riconosco al Festival la sua centralità, so quanto potrebbe essere utile alla mia carriera ma... mi sono scottata. Nel 2019 ero in lizza tra i giovani: ero sesta o settima, non ricordo, e il giorno dopo ero la prima dei non classificati, Baglioni aveva scelto il suo cast. Tutto lecito, ma l'Ariston è una macchina troppo grande in cui noi piccirilli possiamo restare schiacciati da cose che nulla hanno a che fare con le nostre canzoni». 

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