Jeff Mills al teatro Bellini di Napoli: «Il problema è l'uomo, non la tecnologia»

«Dopo la pandemia tutti gli interrogativi di Lang ci sono stati drammaticamente più chiari: con la mia musica non dovevo fare altro che aiutare lo spettatore a vedere, a sentire, a immergersi in quell'affresco»

Jeff Mills
Jeff Mills
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Mercoledì 27 Settembre 2023, 13:00 - Ultimo agg. 28 Settembre, 07:13
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C'è Jeff Mills stasera in città, ma stavolta non serve preparare le scarpette da dancefloor. La premiata rassegna «Synth» curata da Cesare Settimo ha infatti invitato al teatro Bellini (ore 21) il re della techno per un progetto ben diverso dalle sue usuali scalette in console: il sessantenne superdj di Detroit sonorizzerà, infatti, «Metropolis» distopico capolavoro del 1927 di Fritz Lang, approfittando della copia restaurata dalla Cineteca di Bologna. Come ha recentemente confermato Trentmøller al Flava beach, alcuni superdj, forse i migliori, dopo essersi imposti al centro della scena sonica internazionale, vogliono andare oltre il mixer, oltre la pista da ballo per un originale «cinemix».

Mills, il suo lavoro su «Metropolis» comincia da lontano.
«Sì, e ci tengo molto, avendogli dedicato ben due dischi e tre riscritture.

La prima volta, ad inizio anni Duemila, mi era stata richiesta una nuova colonna sonora per un lavoro che è alla base di ogni film di fantascienza venuto dopo. Poi l'ho ripresa una prima volta e una seconda quando è venuta la pandemia e, chiuso in casa, ho sentito il bisogno di rimettere mano a quell'esperimento, di tornare indietro per guardare avanti».

Ovvero?
«Dopo la pandemia tutti gli interrogativi, attualissimi, postici da Lang quasi un secolo fa ci sono stati drammaticamente più chiari. Con la mia musica non dovevo fare altro che aiutare lo spettatore a vedere, a sentire, a immergersi in quell'affresco».

Per due ore e mezzo, in teatro, un film ed i suoi suoni, pur sintetici, digitali, tecnologici.
«Sì, ci sono anche percussioni acustiche, ma quel che più conta è che al centro di tutto c'è il concetto di tempo, di umanità, la riflessione su che cosa siamo, che cosa vogliamo/possiamo essere, sulle decisione da prendere».

«Metropolis» è spesso frettolosamente etichettato come un film sulla tecnologia che sfugge al controllo degli uomini, ma, in realtà, parla di uomini che usano la tecnologia nel peggiore dei modi. Sembra di sentire il dibattito sull'intelligenza artificiale.
«Proprio così. Il problema non è la tecnologia, ma l'uso della tecnologia, non sono le macchine, ma gli uomini che le comandano. Lang ci dice che dobbiamo stare attenti agli abusi di tecnologia. E rivedendo il film ci si accorge che i problemi dell'umanità non sono cambiati».

Da perfetta musica applicata, la sua colonna sonora rinuncia ai suoni techno che ha contributo a definire: che messaggio c'è dietro i suoni dilatati e inquietanti che ha composto, autentica musica contemporanea?
«L'unico messaggio possibile è anche l'unica risposta possibile alle domande che "Metropolis" pone: che fare? Come salvarsi? Tocca alle nuove generazioni decidere in che direzione vogliono andare, e come, e che prezzo sono disposte a pagare. Anche in Italia, soprattutto in Italia, dove c'è un nuovo governo che sembra voler guardare indietro».

Lei ha lavorato con un producer partenopeo, Giri, alias Giovanni Napoletano, stanotte protagonista dell'after show al Tools di piazza Bellini.
«Ho pubblicato sulla mia etichetta, la Axis, il suo primo album, “Autochtis”, come ho pubblicato Raffaele Attanasio: con Rafio abbiamo trafficato insieme per un paio di anni, presto potrebbe uscirne un suo nuovo lavoro. Lui è interessante perché indica una mia direzione precisa: lavorare con artisti che possono suonare, lanciare ponti tra le macchine, gli altri musicisti e la gente». 

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