Mahmood in concerto ad Amsterdam: «Solo la gavetta ti salva»

Passa dal mitico Paradiso di Amsterdam il tour europeo del cantante

Mahmood ad Amsterdam
Mahmood ad Amsterdam
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Mercoledì 17 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 17:59
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Il Paradiso è una ex chiesa di fine Ottocento di Amsterdam trasformata in club per la musica. Da qui sono passati i Pink Floyd poco dopo l’addio a Syd Barrett, i Rolling Stones, Prince, i Nirvana, James Brown, gli U2, Madonna, i Ramones... A fine show Mahmood ascolta la lista di chi l’ha preceduto su quel palco e, quasi quasi, trasecola: «E pure io, ma no, dai raga...». 

Il successo, che pian piano da italiano inizia a trasformarsi in europeo, non cambia Alessandro, 31 anni: baffetti, felpa rosa e pantalone larghissimo, strega i 1.500 in sala («siamo ad una metà di italiani ed un’altra metà di pubblico locale») con una scaletta basata sui suoi tre dischi, «Gioventù bruciata», «Ghettolimpo» e l’ultimo «Nei letti degli altri»: Francesco Fugazza alla chitarra, Marcello Grilli alla tastiera ed Elia Pastori alle tastiere lo supportano, come i cori di Arya Del Gado e Debora Cesti, ma l’attenzione è tutta sulla sua voce che mentre sta rappando parte improvvisamente per un falsetto dolcissimo, che sa di miele.

I brani sono intervallati dal dialogo bilingue (fluente il suo inglese) con i fan: che gli regalano di tutto, Pokemon (una delle sue passioni) compresi. I due successi sanremesi di «Soldi» (2019) e «Brividi» (2022) sono intonati in coro dal pubblico, ma ormai il brano più atteso, e di chiusura bis, è «Tuta gold», che all’ultimo Festival è arrivato sesto, ma poi è risultato il brano più... tutto: più venduto, più streammato, più tiktokato.

Non mancano «Paradiso» («sei in un locale che si chiama così e non la fai?»), «Ghettolimpo», «Personale» (su disco divisa con Geolier), «Gioventù bruciata», «Barrio», ma anche l’omaggio arabo di «Sabri Aleel» («la ascoltavo sempre con mio padre»): già, perchè nel suo «Cocktail d’amore» sonoro l’hip hop, l’edm, il suono urban, il pop e la melodia si innervano a tratti di profumi orientali che dicono della sua origine egiziana. Quando balla, quando accenna a passi e movimenti diventati virali in rete, il pubblico va in sollucchero: «Vorrei usare di più la mia fisicità», ammette, soddisfatto, nei camerini nell’incontro con la stampa italiana a fine show. Il tour europeo lo ha già portato anche all’Olympia parigino ed è tutto sold out, in estate si farà un giro italiano open air (27 luglio tappa a Benevento, arena Musa), poi di nuovo i palasport (il 31 ottobre sarà a Napoli, Palapartenope).

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Nella giornata dell’addio di Amadeus impossibile non partire da Sanremo: ci torneresti? 
«Sì, sempre ammesso di avere una canzone che possa fare la differenza, che possa essere completamente diversa da tutto quello che ho fatto prima».

Ci torneresti anche senza Amadeus? 
«Beh sì, nel 2019 alla mia prima volta c’era Baglioni».

Intanto, l’ultimo Festival l’hai vinto lo stesso, senza esserne il vincitore ufficiale. 
«Credevo in “Tuta gold”, ma ho capito il successo che riscuoteva solo stando in mezzo alla gente, scendendo per fare la spesa o per prendere un taxi. Il suo connubio di melanconia e baile funk, voglia di piangere e di danzare ha fatto centro».

Visto il successo europeo e l’unicità del tuo progetto, mai pensato di mirare all’America? 
«Raga... pensare è una cosa, farcela... un’altra. A Los Angeles avevo realizzato alcune canzoni inglesi, avevo finito un ep con brani anche in italiano, ma... non è mai uscito, non mi piaceva abbastanza, non mi rappresentava abbastanza. So che cosa voglio dalla mia carriera: le soddisfazioni economiche sono importanti, ma io voglio durare, esprimermi a lungo, divertirmi e divertire, emozionarmi ed emozionare».

Molti tuoi giovani colleghi, ha iniziato Sangiovanni, denunciano lo stress di un mercato musicale che macina e tritura talenti con velocità inaccettabile. 
«Mi ha salvato la gavetta, a 19 anni i miei musicisti volevano lasciarmi perché nessuno prendeva le mie canzoni. È quella la scuola di chi fa il nostro mestiere, le porte in faccia fanno maturare».

Il governo Meloni, tramite il sottosegretario Mazzi, ha proposto un protocollo di autoregolamentazione per i testi delle canzoni, suggerendo una sorta di autocensura, soprattutto ai rapper. 
«Non sono d’accordo, la libertà di espressione deve essere totale ed è importante, soprattutto nell’hip hop».

Ma tu lo faresti un brano con uno come Baby Gang come hanno fatto recentemente Marracash e Blanco? 
«Bisogna sempre distinguere la musica dal personaggio. L’uomo ha problemi con la legge, la sua canzone che cosa c’entra?».

E l’appello all’impegno di Ghali? Davvero la vostra generazione è così disimpegnata? 
«Io le mie cause le sostengo, ma ce ne sono tante che sarebbero giuste e se qualcuno non si espone non ne faccio un problema: ognuno ha la sua sensibilità».

Come ti sta accogliendo l’Europa in questo tour? Sembri aver seminato bene negli scorsi anni, magari anche grazie all’«Eurofestival». 
«Raga... il pubblico è caldissimo, più pazzo che mai, sembra non aspettare altri che me». 

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