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Raiz, “Si ll'ammore è o cuntrario d''a morte” per Sergio Bruni: «Ma la Voce di Napoli non si può imitare: le rendo omaggio»

«Sarà retorica, ma quando intono “Chella s'è fatta a croce con l'acqua è mare” mi vengono le lacrime agli occhi»

Raiz
Raiz
di Federico Vacalebre
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 23 Febbraio 2023, 13:00
5 Minuti di Lettura

Ci sono imprese che sciolgono il sangue nelle vene prima ancora di tentarle. «Sapevo che quelle canzoni mi appartenevano per dna, per educazione sentimentalcanora, per militanza, ma avevo una sorta di pudore, se non di paura. Salvatore Palomba mi è stato vicinissimo. Un giorno è sbottato: “Tu o ppuo' fa'. T''o dicch'ie”. E mi sono lanciato». Raiz spiega così la genesi di «Si ll'ammore è o cuntrario d''a morte», il suo nuovo cd in uscita venerdì, interamente dedicato al canzoniere di Sergio Bruni.

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Come si fa a cantare «'a voce e Napule», Gennaro?
«Rendendole omaggio, senza imitazioni né paragoni impossibili. Ho sempre cantato Bruni, anzi lui ha sempre cantato in me, è stato colonna sonora, come di tanti napoletani, dei momenti di gioia e di dolore della mia famiglia. Mi sembra di aver compiuto un'impresa, ma anche un dovere: far risuonare grandi canzoni che ci sono state consegnate da uno dei più grandi cantori di sempre».

Con te ci sono i pugliesi Radicanto, ormai l'altro tuo gruppo di riferimento, quando non sei con gli Almamegretta. Giuseppe De Trizio e Aldolfo La Volpe ai liuti, Francesco De Palma alle percussioni, Giovanni Chiapparino alla fisarmonica e Giorgio Vendola al contrabbasso. Quasi un «concertino», insomma, adatto a quella che in passato hai definito «musica immaginaria mediterranea».
«Sì, c'è Napoli, il fado, le note d'Oriente, il tango... Ma anche tanto rigore. Le canzoni sono quelle, ho studiato il primo Bruni, quello dei Festival di Napoli e di Sanremo, più pop; e il secondo, dopo l'incontro con Roberto De Simone, altero e rigoroso. Il suo canto, sempre, mi sembra ieratico, quasi sacro».

Da Villaricca aveva portato con sé echi rurali altrimenti persi dal piccolo mondo antico di cantaNapoli. Un cimento adatto a te, cantore metropolitano più che cittadino.
«Sì. Anche perché oltre Napoli nel mio canto, e anche nel mio Bruni, c'è il resto del mondo, gli ascolti di suoni orientali, il canto in sinagoga, il folk...».

Il disco è un omaggio commovente, delicato, retromodernista. Come hai scelto i brani da interpretare?
«Nel 2008 era uscito il disco tributo, bellissimo, di un bruniano doc come Nino D'Angelo: rispetto a quello io mi sono concentrato sui pezzi scritti da Bruni, soprattutto con il poeta Palomba, ma non solo».

Il titolo è un verso rubato a «Carmela», l'ultimo classico napoletano, o il primo inno newpolitano che dir si voglia. Fu scritto nel 1976, lo stesso anno di «Napule è»:
«È incredibile come, nello stesso momento, un maestro già avanti negli anni e un giovane scugnizzo abbiano ribaltato la nostra melodia e la narrazione della nostra città. In fondo, ma l'ho capito solo adesso, anche la mia “Nun te scurda'” non è solo la storia, vera, delle signorine partenopee e dei soldati americani nei giorni del dopoguerra. È la storia di Napoli; di una città prostituta; di una donna violata, sedotta e abbandonata; delle mille, violente, dominazioni che abbiamo subito».

«Che lle conto?», «Napule doceamara», «Amaro è o bene», «Napule è mille ferite», «Bella si tu venisse ind''a sti braccia», sino al misticismo panteistico di «Che miracolo stammattina». Tra tanti magnifici episodi firmati Bruni-Palomba non ci sono quelli più civili, politici, non c'è «Chiappariello», non c'è «Napule nun t''o scurda'». Come mai?
«Volevo fare qualcosa che non avevo già fatto. Di canzoni militanti con gli Almamegretta ne abbiamo fatte tante, questo è il mio Bruni, romantico cantore di un mondo al tramonto, ma resistente e, forse proprio per questo, più politico di qualsiasi canto politico».

«'A fata d''e suonne», su testo di Marotta, e «Palcoscenico», su versi di Bonagura, non sanno di oleografia?
«Sì, eppure dicono verità sulla nostra città: oggi, magari, più che di un palcoscenico, parleremmo di un set a cielo aperto, ma il concetto è sempre quello».

A proposito: fai sempre più l'attore.
«È vero: dopo “Mare fuori 3”, “La vita bugiarda degli adulti” e “Diversi come due gocce d'acqua” tra qualche giorno mi vedrete anche in “Mixed by Erry” di Sidney Sibilia. Mi è sempre piaciuto recitare, oltre che cantare, sarà che il primo spettacolo che ho visto, in un teatro di Milano, era una sceneggiata, “Lacreme napulitane” con Mario Merola».

Al centro del disco c'è la struggente barcarola di «'Na bruna», una ballata d'amore e morte che la tua voce verace scartavetra scartavetrando il cuore di chi ascolta.
«Sarà retorica, ma quando intono “Chella s'è fatta a croce con l'acqua è mare” mi vengono le lacrime agli occhi».

Si sente. Sabato canti Bruni a Napoli, al teatro Trianon Viviani, dove anche Nino D'Angelo ha reso omaggio alla «voce di Napoli» (Eduardo De Filippo dixit).
«Poi il 15 aprile saremo a Roma, auditorium Parco della musica, e poi vedremo. Ho visto solo una volta Sergio di persona, per un incontro all'università: cantarlo in un teatro che è il cuore della tradizione, della canzone napoletana, e quindi sua... quasi quasi telefono a Salvatore Palomba e mi faccio rinfrancare a dovere».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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