Non è trap, non è rap, non è indie, non è urban, non è shoegaze, non è trance, non è canzone d'autore. Ma è anche tutto questo insieme, e pure rock, suono orgogliosamente newpolitano, taranta reloaded, cyberpunk futurista... «Il grande fulmine», secondo album dei Thru Collected, collettivo partenopeo con innesti pugliesi, scuote una scena imbalsamata tra nostalgia canaglia e dittatura dei numeri del web con un pugno di canzoni, che poi sono decisamente più di un pugno: trenta per l'esattezza, e anche la quantità dice dell'exploit creativo che Alice, Lucky Lapolo, Specchiopaura, Altea, Sano & Co. «Siamo quasi in tredici», mi spiega proprio Sano, che ho conosciuto quando era un bambino: è il figlio di Maurizio Capone, già con i 666 ed oggi leader dei BungtBangt.
La varietà (di suoni, di voci, di ispirazioni, di genere, di ospiti) e la scelta di procedere in direzione ostinata e contraria rispetto al mainstream dilagante li elegge a portavoce di una (fetta di) generazione di non bamboccioni, ignorata dai cantori ufficiali delle magnifiche sorti e progressive che confondono la musica con il numero di dischi di platino, d'oro, di latta, di latte, di lutto, più di governo che di lotta.
I ThruCo sono difficili da etichettare e aprono il disco, per ora solo in formato digitale su etichetta Bomba Dischi (quella di Liberato, per cui hanno fatto da supporter in piazza del Plebiscito), con un titolo esplicito come «Musica di merda», che si chiede anche «che fine ha fatto l'underground», dando voce «'e guagliune ffore e locale».
I ThruCo cantano anche, e molto, di relazioni, d'amore, ma è difficile inquadrarle quelle relazioni, quell'amore: «Piccolo atto di sensibilizzazione al libero pensiero», «Pistola» e «Raw dogging» dicono di vite precarie difficili da vivere in due, ma anche in uno, se è per questo. «Milano» racconta l'emigrazione che continua, ma risolve poco o niente: «Ho visto che c'è chi se n'è andato da Napoli per trovare altri problemi in altre città». L'estetica dell'inorganico cozza con l'etica della cameretta. Il napoletano (contratto, stile Geolier), l'italiano e lo slang giovanile anglofono si susseguono senza distinzioni di sorta.
Il punk è un'attitudine, i giri di basso fanno pensare ai Joy Division, le chitarre ai 24 Grana (e ai primi New Order), «Psytrance» cita gli Smashing Pumpkins. «Aida» riparte da Rino Gaetano: «Aida come eri bella, la povertà ti faceva diversa» e racconta l'ulteriore declino del presunto Belpaese dal 1977 in cui uscì il terzo album del cantautore di Crotone. «K me mparat a fa» riparte dagli Alunni del Sole di «'A canzuncella», a cui ruba il titolo, mentre «Cerasella rmx» non ha nulla a che vedere con il brano lanciato da Gloria Christian. Tutt'altra storia, circondata da storie di paralisi esistenziale, di metamfetamina, di amiche tossiche, di «Diavoli», di mattine erotiche ma sieropositive, di confessioni depressive: «Forse domani la smetto di sperare in quello che è già morto, ricucire un cuore rotto, pregare in silenzio».
E la conclusione cambia tutto, aggiunge una nuova prospettiva, con papà Capone che spunta in voce all'inizio di «A danz ro ragn»: «Nuje simmo e Napule, terra e conquista/ a strada è longa e cammenammo sempe/ Primma sunavamo tammorra e mandulino/ mo sunammo cu na rack e nu synth». Poi Altea, bella davvero la sua voce, sposta il suono verso la post-taranta, l'aracnide è proprio quello studiato da Ernesto De Martino, ridotto a memoria postatomica, eredità digitale, ultimo rituale possibile.
Intanto «Il colpo di fulmine» è caduto e se ne iniziano a vedere gli effetti. Dividendo il palco con loro allo Scugnizzo Liberato, Meg ha sintetizzato: «Se avessi vent'anni anche io sarei una Thru Collected». Poco da aggiungere: ci vediamo al Duel Club il 21 marzo, per una «ThruCo fest» con strumenti.