Coronavirus, un'azienda su due
è bloccata, ecco come uscirne

Imprese al tempo del Covid
Imprese al tempo del Covid
di Fabio Nucci
Venerdì 17 Aprile 2020, 17:26
3 Minuti di Lettura
C’è una parte di sistema produttivo che si è dovuto arrendere al virus e ai blocchi imposti dalle misure anti covid-19, quasi la metà delle unità locali che garantiscono il 40,1% della ricchezza prodotta nella regione. Allo stesso tempo, c’è uno zoccolo duro di realtà che non si è arreso al lockdown, oltre un migliaio di imprese che ha chiesto di poter lavorare in deroga ai decreti. Due facce della stessa medaglia coniata dall’emergenza sanitaria.
Un’elaborazione dell’Agenzia Umbria ricerche inquadra la situazione regionale alla luce dei Dpcm di marzo che hanno congelato mezza Italia con ovvie ripercussioni anche in Umbria dove al 10 aprile, prima delle riaperture di alcune tipologie di attività (dalle cartolibrerie ai selvicoltori), 35.027 aziende risultavano chiuse, con 109.116 addetti, il 63,3% dei quali lavoratori dipendenti. «L’industria è il comparto più colpito dal blocco delle attività – spiegano i ricercatori Aur, Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia - con quasi i due terzi di unità locali ferme, cui corrisponde oltre la metà del valore aggiunto relativo e il 60% degli addetti. Il terziario (esclusi pubblica amministrazione, credito e assicurazioni e parti dei servizi alla persona) rimane colpito per il 45,6% di unità locali, cui corrisponde il 28,5% di valore aggiunto e il 38,1% di addetti». In gioco 14,2 miliardi di fatturato, il 57,4% del quale riferito all’industria. «Va precisato – aggiungono i ricercatori Aur – che alcune unità produttive autorizzate a proseguire la propria attività potrebbero non essere operative, se non riescano ad assicurare le misure di sicurezza imposte. Oppure, potrebbero decidere di fermarsi per opportunità economica, ad esempio per assenza di domanda o per strozzature di approvvigionamento nel processo produttivo». Ci sono poi comparti che non sono mai stati oggetto di sospensione, come pubblica amministrazione, credito-assicurazioni, agricoltura e alcune porzioni dei servizi alla persona e questo riduce di circa un terzo il tasso di sospensione, anche se la quota si inasprisce tra gli autonomi. Così, a fronte di un totale di 363mila addetti, al 10 aprile 119mila (32,8%) risultano sospesi.
Dall’altra parte, nelle attività esplicitamente escluse, sono comprese anche quelle che, avendo dimostrato la loro essenzialità per assicurare la continuità di certe filiere produttive, si sono avvalse della deroga al divieto richiesta, col meccanismo del silenzio assenso, alle prefetture. «Rientra in questa fattispecie – si rileva dall’Aur - la riapertura della Acciai Speciali Terni». Per vigilare su tali deroghe, opera un apposito Comitato di monitoraggio istituito nelle due prefetture. Dalla riunione in videoconferenza di quello perugino è emerso che nella provincia sono state oltre 1.200 le comunicazioni aziendali trasmesse, con appena sei provvedimenti di sospensione adottati, “perché carenti dei presupposti di legge”. «Ne emerge una fotografia positiva del territorio – osserva il prefetto Claudio Sgaraglia – caratterizzata da un comparto imprenditoriale virtuoso che opera tendenzialmente nel pieno rispetto delle regole ed è attento all’esigenza di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori». Una condizione per la quale il prefetto ha ringraziato l’azione di sensibilizzazione svolta dalle associazioni datoriali e sindacali e dall’altra «la scrupolosa e corale attività di verifica dell’osservanza delle regole precauzionali» svolta da Guardia di Finanza, Direzione provinciale del lavoro, Vigili del fuoco e Azienda sanitaria locale. «La prosecuzione delle attività produttive e professionali – è emerso durante il Comitato – potrà avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA