Feto morto all'ospedale di Salerno, inchiesta chiusa: cinque medici indagati

La coppia sostenne di aver richiesto un cesareo per problemi emersi in una precedente gestazione

Il Ruggi
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di Nicola Sorrentino
Mercoledì 3 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 08:32
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La Procura di Salerno chiude l’inchiesta sul decesso di un neonato, morto tra il 24 e il 25 agosto scorso, durante le fasi del parto. Cinque i medici indagati, in servizio all’ospedale Ruggi, con l’ipotesi di omicidio colposo.

La famiglia, che vive a Scafati e presentò denuncia per quanto accaduto, è assistita dal legale Angelo Longobardi. Stando alle accuse, ricostruite dai risultati dell’autopsia e varie consulenze, i medici - a seconda dei ruoli - avrebbero provocato la morte del nascituro, avvenuta per «anossia fetale» ed «emorragia subdurale e subaracnoidea, procurate intra partum» (durante il parto).

La donna fu ricoverata nel reparto di ostetricia e ginecologia il 24 agosto. Era alla 26esima settimana. La diagnosi d’entrata fu «minaccia di parto prematuro». Nei confronti di tre medici di guardia del reparto, il pm contesta di non aver effettuato un’adeguata anamnesi patologica remota e prossima della paziente. Si tratta di quell’indagine cronologica che viene svolta per appuntare malattie, traumi o interventi sofferti in passato dal paziente. La donna, infatti, spiegò di aver già subito due gravidanze critiche. Nel corso della prima, effettuata come la seconda in modo naturale, il feto era morto. Nel secondo caso, invece, alcune complicazioni provocarono postumi permanenti al bambino. In ragione di ciò, la famiglia aveva richiesto un parto cesareo.

Tuttavia, i tre medici non avrebbero ritardato il travaglio, onde scongiurare il rischio di un parto prematuro, omettendo di effettuare uno specifico intervento per ritardare la «dilatazione vaginale». Prescrissero, invece, una terapia con farmaci che serviva ad anticipare le contrazioni.

Nei tracciati finiti sotto sequestro, tuttavia, non «era riportata alcuna attività contrattile uterina».

La donna avrebbe poi firmato un modulo di consenso informato a subire un parto vaginale - «redatto con linguaggio poco comprensibile ed eccessivamente prolisso» - nonostante la stessa avesse più volte ribadito di volere un cesareo (in accordo con il suo ginecologo). Nel momento in cui firmò quel documento, la stessa si trovava in un momento di «particolare vulnerabilità psicologica», come sostiene l’accusa. I due medici dell’equipe che assistettero la madre durante il parto, invece, rispondono di imperizia ed imprudenza, avendo scelto di condurre un parto naturale, nonostante elementi che «imponevano il cesareo»: dalla posizione del piccolo ai dati anamnestici raccolti, fino alla dilatazione di collo uterino «di appena 4/5 centimetri».

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Da lì il decesso, con le cause messe nero su bianco dal medico legale. I cinque indagati potranno presentare memorie difensive. Sarà la Procura a valutare poi se chiedere il processo o archiviare le accuse.

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