Spena: «Dobbiamo coltivare la memoria per riconoscere il male»

Il prefetto: «È stato l’odio cieco verso le diversità a generare le mostruosità della guerra»

Il prefetto di Avellino Paola Spena
Il prefetto di Avellino Paola Spena
di Selene Firoetti
Sabato 27 Gennaio 2024, 00:00 - Ultimo agg. 09:17
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Occhi lucidi, mani tremanti e petto gonfio di orgoglio ed emozione. Uno alla volta hanno attraversato il Salone degli Specchi per ricevere dal prefetto di Avellino una medaglia d’oro, sulla quale è stato inciso il nome del loro caro.

Sono i familiari delle 14 vittime della violenza nazista che ieri mattina, alla vigilia della Giornata della Memoria, sono state ricordate durante una cerimonia solenne tenutasi in Prefettura. Irpini ma non solo, quelli presenti nell’elenco dei decorati. Non tutti riuscirono a fare ritorno dai fronti di guerra e dai lager. A custodire le loro tragiche storie erano stati fino ad ora i figli e i nipoti, ma da oggi quelle testimonianze di profonda umanità sono diventate memoria collettiva, di cui la società tutta diventa responsabile.

Non ci si dovrà, cioè, dimenticare di Sabino Venezia, 20enne di Avellino recluso in uno stalag polacco. Del caporale Antonio Fiore (di Candida), fucilato in Albania nel ‘44, i cui resti vennero miracolosamente ritrovati dai suoi congiunti nel ‘93.

Del soldato Gelsomino Monteverde (di Caposele), reclutato quando di anni ne aveva 19. Così come del caporale maggiore Clemente Lazzaro, che sopravvisse sia all’eccidio degli italiani di stanza a Cefalonia che al lager. A Cervinara, suo paese d’origine, viene ancora chiamato con affetto ‘zi Lazzariello. E poi dell’aviere Armando Capone (di Montella), giovane in forza alla Caserma presidiaria di Torino, prima di finire in un campo del Brandeburgo.

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Dei soldati che venivano tutti da Montoro: Alfonso Basso, Carmine Caliano, Nicola De Maio e Antonio Troisi. Il loro destino, però, si divise su fronti di guerra diversi e di nuovo si riunì con la comune esperienza dell’internamento, a cui Caliano purtroppo non sopravvisse. Al contrario Troisi riuscì a fuggire e si unì ai partigiani albanesi della divisione Gramsci. E ancora, sarà fondamentale onorare il sacrificio dei soldati Pellegrino Coppola (di Roccabascerana), confinato in Bassa Sassonia, e Vincenzo Greco (nato a Pellezzano, nel Salernitano) che per il troppo dolore non volle mai raccontare nel dettaglio tutto quello che aveva vissuto. Inoltre, di Giacomo Torretta (soldato di Volturara Appula, nel Foggiano), che subì una prigionia di tre anni prima di essere raggiunto dagli alleati nel maggio del ‘45. Infine, del soldato Armando Romano, nato a Pordenone, e dell’alpino Domenico Paradiso. Entrambi sul fronte greco-albanese, poi nei campi dell’Europa dell’Est. Paradiso veniva addirittura usato dai tedeschi per posizionare mine ai confini, così da far esplodere i carri armati russi.

«Queste memorie - afferma il prefetto Paola Spena - devono essere coltivate, così che ognuno di noi possa non soltanto avere coscienza del passato ma, allo stesso tempo, riconoscere il male presente ai giorni nostri». Infatti sottolinea: «Fu l’odio cieco verso le diversità a generare quelle mostruosità. Un sentimento - esclama - a cui siamo chiamati a contrapporci tuttora». Delle parole pronunciate alla presenza delle alte cariche cittadine e pure dei sindaci dei Comuni d’origine degli insigniti. Partecipi attivi, nella sala gremita, anche gli studenti di alcune scuole dell’Avellinese, che per l’occasione hanno realizzato contributi video e performance teatrali. Per riannodare il filo della memoria fondamentale è stato il supporto dell’Archivio di Stato di Avellino, dove sono conservati 15 faldoni contenenti documenti sui 3 campi di concentramento di Solofra, Monteforte Irpino e Ariano Irpino.

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