Uccise a fucilate suocero e genero,
condannato a 20 anni di carcere

Uccise a fucilate suocero e genero, condannato a 20 anni di carcere
di Enrico Marra
Giovedì 9 Luglio 2020, 08:32
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È stato condannato a venti anni di reclusione Francesco D'Angelo 53 anni, imputato per il duplice omicidio di Mario Morgillo, 68 anni, e del genero Andrea Romano, 49 anni, entrambi di San Felice a Cancello, uccisi a colpi di fucile il 31 marzo 2019 a Durazzano. Dovrà, inoltre, risarcire le parti civili che sono i familiari delle vittime. Il verdetto è stato emesso nella tarda mattinata dal Gup Loredana Camerlengo, dopo oltre un'ora di camera di consiglio, avendo l'imputato optato per il rito abbreviato. Il pubblico ministero Marilia Capitanio, al termine della requisitoria, aveva sostenuto la volontarietà dell'omicidio e, quindi, chiesto la condanna a trenta anni. Gli avvocati di parte civile Tiziana Fucci e Igino Nuzzo hanno chiesto la condanna dell'imputato.

Il difensore dell'imputato, Alberico Villani, nella sua arringa aveva avanzato l'ipotesi di una legittima difesa e, in linea subordinata, l'eccesso colposo. E, in ogni caso, l'attenuante della provocazione e il minimo della pena. Ascoltato anche l'imputato in videoconferenza, il quale ha confermato sostanzialmente la ricostruzione fatta subito dopo il duplice omicidio. Fatti avvenuti nel pomeriggio del 31 marzo del 2019 nel centro del paese. Le due vittime, giunte a Durazzano a bordo di una Ford Focus, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avevano pedinato Francesco D'Angelo. Quest'ultimo, si era accorto della presenza sia di Morgillo che del genero e, temendo qualche reazione, aveva anche avvertito i carabinieri. Ma a quanto pare questo suo intervento non aveva sortito effetti. Da qualche mese, infatti, dopo un incidente stradale tra Francesco D'Angelo e Gennaro Morgillo, il figlio di Mario, era in corso una controversia con strascichi anche in sede giudiziaria presso la Procura di Santa Maria Capua Vetere. Fatto sta che, quel pomeriggio, D'Angelo ha imbracciato un fucile da caccia calibro 12, con canna sovrapposta che aveva nel suo furgone, e aveva fatto fuoco colpendo Mario Morgillo al torace e Andrea Romano alle regione lombare, entrambi deceduti sul colpo.

L'omicida, poi, era fuggito da piazza Galilei. Ma, poco dopo, si era consegnato ai carabinieri del Reparto operativo. D'Angelo, sin dal momento dell'arresto, ha sempre sostenuto la tesi di aver sparato temendo che i due potessero aggredirlo. In particolare gli inquirenti, per ricostruire il duplice omicidio, sono partiti dalla dinamica dell'incidente stradale avvenuto a Santa Maria a Vico, dove l'auto condotta da D'Angelo si era scontrata con quella guidata da Gennaro Morgillo. Dopo l'incidente e le denunce erano cresciuto il rancore tra i due. Il caso aveva poi voluto che Gennaro Morgillo, in attuazione di un divieto di dimora nel Casertano, si fosse poi trasferito proprio a Durazzano. Una decisione, questa, che aveva finito con il creare tensioni perché erano aumentate le occasioni per incontrarsi. E anche la domenica precedente il duplice omicidio c'era stato un alterco in un bar. L'imputato ha sempre sostenuto, sin dal momento dell'arresto, di aver sparato all'indirizzo di Morgillo e Romano avendo notato che uno dei due era armato di pistola. I carabinieri non avevano rilevato nell'auto Ford Focus nessuna arma. Inoltre c'erano stati accertamenti dei Ris, eseguiti più volte su disposizione del sostituto procuratore della Repubblica Maria Capitanio che, dal primo momento, ha coordinato queste indagini. Ma anche gli accertamenti per verificare se sulle mani delle due vittime vi fosse polvere da sparo hanno dato esito negativo. Dunque nessuna traccia di polvere da sparo o di altri elementi che potessero confermare che, una delle due vittime, fosse armata di pistola.
 

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