Mentre infuria la polemica sulla (presunta) sentenza già scritta prima della conclusione di un processo a un imprenditore, la stessa sezione, la IV della Corte d’Appello di Napoli, finita nella bufera dopo la denuncia dell’avvocato Gerardo Rocco di Torrepadula, presiede il processo a don Michele Barone (in foto con la veggente di Medjugorje, Viska), l’ex sacerdote al centro dello scandalo esorcismi e abusi, condannato in primo grado a 12 anni di carcere per i maltrattamenti su una 13enne affetta da disturbi di conversione, ma sottratta alle cure mediche e «affidata» ai rituali di purificazione di Barone, durante i quali veniva colpita e umiliata.
La sentenza di secondo grado per Barone e per i genitori della minorenne dovrebbe essere emessa entro la fine dell’anno. La Corte ha infatti respinto la richiesta di sospensione dei termini di custodia cautelare invocata dal pg Maria Cristina Gargiulo ritenendolo evidentemente superfluo sulla scorta della complessità dell’istruttoria.
In primo grado Barone era finito alla sbarra anche per violenza sessuale su due parrocchiane ventenni, ma il tribunale di Santa Maria Capua Vetere lo mandò assolto da tali accuse ritenendo - lo si legge nelle motivazioni - che non c’è costrizione se l’atto sessuale è orale. Ragionamento che le parti offese - nel collegio sono impegnati gli avvocati Rossella Calabritto, Luigi Ferrandino, Rosario Cristiano e Claudia Sorrenti - hanno respinto, tanto da chiedere, in Appello, la riescussione delle due ragazze. La IV sezione ha accolto l’istanza, come prevede la procedura: le due ragazze saranno interrogate il 15 settembre. Poi saranno riascoltati i genitori della vittima tredicenne dei maltrattamenti. Rappresentati da Giuseppe Stellato e Carlo Taormina, la madre e il padre della ragazzina che decisero di portarla via dall’ospedale dove era in cura per lasciare che fosse sottoposta ai rituali di Barone, che il gip definì «torture medievali», in primo grado furono condannati a quattro anni e hanno perduto la responsabilità genitoriale sulla figlia su disposizione del tribunale dei minori di Napoli. Anche il poliziotto Vito Esposito, all’epoca dei fatti in servizio al commissariato di Maddaloni, sarà sentito dalla Corte d’Appello. Era presente, secondo la ricostruzione, quando la sorella maggiore della vittima si presentò alla centrale di polizia per denunciare il prete. La ragazza riferì che l’allora commissario, Luigi Schettino, tentò di impedirle di firmare l’esposto. Anche Schettino, deceduto il 2 aprile scorso per covid, finì agli arresti e sotto processo, ma il tribunale di Santa Maria Capua Vetere lo assolse e, il mese scorso, la Corte d’Appello di Napoli ha accolto l’istanza del difensore, De Stavola, per l’inammissibilità del ricorso della Procura contro l’assoluzione di primo grado. La sentenza è così passata in giudicato. Ciononostante, per i giudici di secondo grado va riascoltato Esposito: il primo grado si concluse con il rinvio in Procura degli atti relativi alla sua posizione in merito all’ipotesi di omessa denuncia. Si tratta di un «teste assistito».