Delitti Barba, Russo e Bruno: cerchio chiuso dopo 30 anni

Risolti due cold case

Risolti due cold case legati ai Casalesi
Risolti due cold case legati ai Casalesi
Marilu Mustodi Marilù Musto
Venerdì 28 Luglio 2023, 08:14 - Ultimo agg. 12:58
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Tre "cold case" rimasti sepolti per troppo tempo dopo trent'anni riemergono dal profondo della cronaca. Mentre alcuni affiliati escono dal carcere e tornano a Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa e a Casapesenna dopo le condanne espiate, altri vengono individuati come responsabili di vecchi omicidi e restano in carcere. Una lotta senza confini, da un lato e dall'altro. Per ora, sono stati svelati i nomi dei killer che uccisero Gennaro Barba: fu strangolato a Villa Literno dagli affiliati dei Casalesi perché "colpevole" di aver svelato un imminente raid a un suo amico, colpito dalla sentenza di morte del clan Lago. Svelate anche le identità dei sicari che uccisero Antonio Russo e Sergio Bruno, ammazzati a Pianura dal clan dei Casalesi per rendere un favore al cartello dei Lago, che in quella zona spadroneggiava. Per i tre fatti di sangue, la procura Antimafia di Napoli ha chiuso l'indagine nei confronti di Domenico Bidognetti, collaboratore di giustizia, ex braccio armato del clan, Vincenzo Cantiello, Carlo Tomaselli e Pasquale Vargas, pentito anche lui.

Se da un lato dunque, la procura è impegnata a tenere d'occhio gli ex esponenti del clan scarcerati - come Nicola Villano, Biagio Ianuario, Nicola Pezzella, Nicola Gargiulo, Paolo e Luigi Schiavone, Davide Grasso, Pasquale Tavoletta detto "ciccione" e Pasquale Tavoletta detto "faccia e trattore", Filippo Capaldo e Carmine e Antonio Zagaria, fratelli del boss Michele già in libertà da tanto e Antonio Mezzero ed Elio Diana - dall'altro si cerca di chiudere il cerchio dei "casi freddi". Come tutte le storie di cui nessuno parla, questa di Gennaro Barba di Villa Literno è fatta di racconti unilaterali dei collaboratori di giustizia che furono ex killer passati poi clamorosamente dalla parte della giustizia: Domenico Bidognetti, 57 anni, cugino del boss Francesco Bidognetti "Cicciotto e'mezzanotte", ha vuotato il sacco. Stessa scelta per Pasquale Vargas, finito dalla parte della giustizia dieci anni fa. E così, dai racconti dei due emerge che ad attrarre in una trappola Gennaro Barba di Pianura e a condurlo a Villa Literno per eseguire la sentenza, c'era lui, Bidognetti in compagnia di Vincenzo Cantiello di Casal di Principe (ora detenuto a Cosenza) e Vargas con Carlo Tomaselli (in carcere a Novara). Lo stesso gruppo avrebbe preso parte anche a un altro duplice omicidio: quello di Antonio Russo e Sergio Bruno, colpiti con i proiettili di due pistole (una calibro 7,65 e una 9 per 21) e un fucile marca Franchi calibro 12, trovato poi sulla scena del crimine.

Avrebbero partecipato all'eccidio - stando ai racconti dei pentiti - anche Vincenzo Di Vicino e Vincenzo Giordano con il ruolo di autista.

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Il mandante del duplice assassinio, stando ai racconti, fu Pietro Lago, detto 'o Sciore (il fiore), arrestato il 15 dicembre 2004 e morto in carcere il 27 ottobre 2014 mentre scontava l'ergastolo. Il suo "impero" nel napoletano fu costruito grazie e soprattutto all'edilizia illegale e all'abusivismo edilizio, attraverso terreni lottizzati violando i vincoli urbanistici e intestati a prestanome. Ma chi faceva tremare la terra sotto ai piedi dei Lago era l'altra fazione criminale, quella dei Contino. Ecco perché Pietro Lago decise di "eliminare" anche Gennaro Barba a Villa Literno (per mano dei Casalesi) colpevole solo di aver "avvertito" Giuseppe Contino di un imminente agguato pianificato ai suoi danni. La guerra Lago-Contino, dunque, coinvolse anche la camorra di Casal di Principe al punto che per chiudere la partita con l'uomo che svelava i piani della loro fazione, Barba fu prima sottoposto a un interrogatorio da parte di Vargas e Bidognetti in aperta campagna a Villa Literno, poi fu bloccato e, infine, strangolato con una fune. Era il 27 ottobre del 1993. Ora, con la chiusura delle indagini, la procura Antimafia di Napoli - pm Vincenzo Ranieri e Simona Belluccio - chiederà il rinvio a giudizio dei quattro indagati. I collaboratori di giustizia rischiano una pena massima di 16 anni. Storia diversa per gli altri, camorristi rimasti tali senza mai cambiare idea. Ma mentre le vecchie guardie della camorra finiscono di nuovo in tribunale, gli ex affiliati, le piccole leve del clan di un tempo, tornano in libertà. L'attenzione delle forze dell'ordine sul territorio non è mai finita. 

 

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