Lui e lei, i protagonisti de Le regole dello Shangai, il nuovo romanzo di Erri De Luca, non hanno un nome. «Non contano, per me. I nomi non aggiungono niente alle persone. Anzi tolgono», avverte subito l'autore. E che non si tratti soltanto di un vezzo narrativo o di una motivazione identitaria «Nessuno somiglia a qualcun altro, neanche i gemelli omozigoti. Qualcuno cerca l'impossibile imitazione di un suo modello, impegno per me incomprensibile» si comprende presto dalla struttura su cui la storia prende a svilupparsi: un incontro occasionale in un lembo di confine al centro dell'Europa, tra una quindicenne sinti scappata da un matrimonio combinato dalla sua famiglia e un orologiaio sessantenne che ha scelto di lasciare affari e ricchezze per una tenda nei boschi. Lì accoglie la fuggitiva e con la ragazza stabilisce un rapporto che scioglie l'immediato reciproco sospetto in una relazione scandita da un fittissimo dialogo, una vicendevole protezione che porta a una forma di conoscenza. Una forma: nel senso dell'apparenza del rapporto, perché nonostante entrambi vadano a un progressivo svelamento di sé, poi si saprà che soprattutto per l'uomo la verità è un'altra. Cioè che in quel brano di paesaggio aspro e rischioso sta prendendo le mosse una particolare spy story, una vicenda misteriosa e complessa regolata dalle varie declinazioni che può avere appunto la regola dello Shangai.
Lo Shangai è il gioco dei 41 bastoncini colorati che si lasciano cadere a ventaglio sul tavolo per sfilarne dal gruppo uno a uno senza toccare e muovere gli altri.
Erri De Luca costruisce ne Le regole dello Shangai una trama che nel ritmo sotteso e nella sequenza dei colpi di scena pare apparentarsi a quella di una storia di spie. Per altro, ben piantata in una geografia che dai boschi slavi tocca la Svizzera e arriva a Napoli «A Napoli c'era, chissà se si dice ancora, il consiglio di vivere nascosti perfino al Padreterno. Campare annascuso di Dio» - intersecando i rami familiari e delineando un territorio dove la Guerra fredda, la stagione dei complotti e degli intrighi, l'epoca dell'ambigua doppiezza politica fa registrare importanti punti di caduta. Russi e americani. Ma proprio dalla confessione che il protagonista rende, si comprende come tutto ciò definisca uno sfondo e ci si trovi di fronte a un espediente retorico perché «la vita delle spie deve suscitare quella forma di credito concesso dal lettore di un libro. La mia vita presso gli altri, te compresa, è stata dedicata a questo effetto».
In realtà, seguendo le parti in cui il racconto si svolge - la prima intessuta nelle serrate conversazioni notturne sui segni dell'universo, sul dio delle cose, sull'amicizia con gli orsi, sugli ingranaggi dell'esistenza che sfidano il caos, e una seconda dove la pagina ha un tono narrativo nelle lettere scambiate e nel quaderno ritrovato - ci si accorge che i temi centrali sono altri: emergono dalle domande quasi ontologiche che interrogano le questioni dell'identità, della plausibile conoscenza reciproca, della vecchiaia che esalta l'altro avverbio, «ancora» - «Quando qualcuno mi chiede come sto, rispondo: ancora, ancora ci sto» e conducono nelle profondità del lato oscuro e per molti versi inaccessibile della vita. L'orologiaio e la sinti si sosterranno e proteggeranno. Cavalcheranno l'«e invece» come una opportunità e non inciamperanno nell'avversità avverbiale. Alla fine, saranno altro dalle due persone incontrate nella tenda in montagna. Ingranaggi nel tempo della Storia, si ritroveranno individui. E la ragazza potrà dire all'uomo che «a nessuno spetta dire: sono stato questo. Lo decidono invece quelli di dopo».