Erri De Luca, Le regole dello Shangai: la ragazza, l'orologiaio e gli ingranaggi del tempo

Lo Shangai come una metafora dei destini che si intrecciano

Erri De Luca
Erri De Luca
di Generoso Picone
Martedì 16 Maggio 2023, 16:00
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Lui e lei, i protagonisti de Le regole dello Shangai, il nuovo romanzo di Erri De Luca, non hanno un nome. «Non contano, per me. I nomi non aggiungono niente alle persone. Anzi tolgono», avverte subito l'autore. E che non si tratti soltanto di un vezzo narrativo o di una motivazione identitaria «Nessuno somiglia a qualcun altro, neanche i gemelli omozigoti. Qualcuno cerca l'impossibile imitazione di un suo modello, impegno per me incomprensibile» si comprende presto dalla struttura su cui la storia prende a svilupparsi: un incontro occasionale in un lembo di confine al centro dell'Europa, tra una quindicenne sinti scappata da un matrimonio combinato dalla sua famiglia e un orologiaio sessantenne che ha scelto di lasciare affari e ricchezze per una tenda nei boschi. Lì accoglie la fuggitiva e con la ragazza stabilisce un rapporto che scioglie l'immediato reciproco sospetto in una relazione scandita da un fittissimo dialogo, una vicendevole protezione che porta a una forma di conoscenza. Una forma: nel senso dell'apparenza del rapporto, perché nonostante entrambi vadano a un progressivo svelamento di sé, poi si saprà che soprattutto per l'uomo la verità è un'altra. Cioè che in quel brano di paesaggio aspro e rischioso sta prendendo le mosse una particolare spy story, una vicenda misteriosa e complessa regolata dalle varie declinazioni che può avere appunto la regola dello Shangai.

Lo Shangai è il gioco dei 41 bastoncini colorati che si lasciano cadere a ventaglio sul tavolo per sfilarne dal gruppo uno a uno senza toccare e muovere gli altri.

Erri De Luca assume questa pratica di abilità come una metafora dei destini che si intrecciano e della sorte che si interroga, la sua immagine è richiamata ciclicamente «Uno vede la vita come un fiume, uno come un deserto, un altro come una partita a scacchi con la morte. Io la vedo sotto forma di un gioco di Shangai fatto da solo» tanto da evocare un Dio dello Shangai, un codice di comportamento di chi impara a dimenticare il giro precedente e ad agire con uno scopo, a utilizzare la precisione, a evitarne l'errore che irrimediabilmente taglia le ulteriori possibilità. Vi intravede uno schema interpretativo dell'esistenza e insieme l'impresa che indaga nei meccanismi del tempo. «Succede in me lettore che la mano dello scrittore sbagli la mossa e muova i bastoncini dello Shangai in delicato equilibrio tra loro. Quell'errore interrompe l'intesa nel gioco tra chi legge e chi ha scritto», spiega l'orologiaio - non a caso un uomo che ha a che fare con i meccanismi di misurazione del tempo, pronto a riparare il malfunzionamento - alla ragazza, una gitana che invece incarna il simbolo della ribellione alle regole del Potere. Il risultato è una storia che si alimenta di questo attrito, assumendo il suo cardine in una congiunzione e un avverbio in posizione oppositiva: «e invece». «Dev'essere così per ogni storia: la continua interferenza dell'invece». 

Erri De Luca costruisce ne Le regole dello Shangai una trama che nel ritmo sotteso e nella sequenza dei colpi di scena pare apparentarsi a quella di una storia di spie. Per altro, ben piantata in una geografia che dai boschi slavi tocca la Svizzera e arriva a Napoli «A Napoli c'era, chissà se si dice ancora, il consiglio di vivere nascosti perfino al Padreterno. Campare annascuso di Dio» - intersecando i rami familiari e delineando un territorio dove la Guerra fredda, la stagione dei complotti e degli intrighi, l'epoca dell'ambigua doppiezza politica fa registrare importanti punti di caduta. Russi e americani. Ma proprio dalla confessione che il protagonista rende, si comprende come tutto ciò definisca uno sfondo e ci si trovi di fronte a un espediente retorico perché «la vita delle spie deve suscitare quella forma di credito concesso dal lettore di un libro. La mia vita presso gli altri, te compresa, è stata dedicata a questo effetto».

In realtà, seguendo le parti in cui il racconto si svolge - la prima intessuta nelle serrate conversazioni notturne sui segni dell'universo, sul dio delle cose, sull'amicizia con gli orsi, sugli ingranaggi dell'esistenza che sfidano il caos, e una seconda dove la pagina ha un tono narrativo nelle lettere scambiate e nel quaderno ritrovato - ci si accorge che i temi centrali sono altri: emergono dalle domande quasi ontologiche che interrogano le questioni dell'identità, della plausibile conoscenza reciproca, della vecchiaia che esalta l'altro avverbio, «ancora» - «Quando qualcuno mi chiede come sto, rispondo: ancora, ancora ci sto» e conducono nelle profondità del lato oscuro e per molti versi inaccessibile della vita. L'orologiaio e la sinti si sosterranno e proteggeranno. Cavalcheranno l'«e invece» come una opportunità e non inciamperanno nell'avversità avverbiale. Alla fine, saranno altro dalle due persone incontrate nella tenda in montagna. Ingranaggi nel tempo della Storia, si ritroveranno individui. E la ragazza potrà dire all'uomo che «a nessuno spetta dire: sono stato questo. Lo decidono invece quelli di dopo». 

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