Incoronato nella Napoli miserrima che vendeva e comprava bambini

Nicolucci riscopre il romanzo dimenticato dello scrittore partenopeo

Luigi Incoronato
Luigi Incoronato
di Ugo Cundari
Giovedì 8 Febbraio 2024, 10:20
4 Minuti di Lettura

Dopo la guerra per Napoli si aggiravano personaggi loschi di ogni risma. Tra questi c'era chi comprava bambini per rivenderli a coppie americane incapaci di averne. È una delle storie, interpretata da un viscido Alberto Sordi, raccontate nel film «Il giudizio universale» di Vittorio De Sica, del 1961, e due anni dopo diventa la struttura narrativa principale attorno alla quale ruota il romanzo Compriamo bambini di Luigi Incoronato (Montreal, 1920 Napoli, 1967), tornato in libreria, a sessant'anni dalla prima e ultima edizione, per Nicolucci (pagine 128, euro 18) a cura di Laura Cannavacciuolo e nella consueta elegante veste grafica curata da Paolo Baldassarre.

Il mediatore tra americani facoltosi e genitori napoletani in miseria con prole numerosa ha adocchiato Mariettina, ultima di sette fratelli, quattro anni, capelli d'oro, sorriso dolcissimo, occhi grandi, e quando t'abbraccia ti stringe forte.

L'offerta è di 200.000 lire in contanti per portarsi via la piccola di casa. L'argomento per convincere la madre a cedere è sempre lo stesso. Una volta sbarcata oltreoceano la bimbetta avrà un futuro migliore, potrà mangiare «latte al mattino, burro, zucchero, carne dopo, e frutta, e ancora budini, e pesce... e poi, vesti, scarpe... e studierà, farà un buon matrimonio».

Il mediatore è un giovanotto senza scrupoli, fidanzato e di buona famiglia, ma dall'aria assente, cinica, quasi come se niente lo possa toccare, né l'amore né la vergogna. È assuefatto al marcio, lo accetta, lo usa perché tra gli anni Cinquanta e Sessanta solo i soldi possono offrire qualche brivido, qualche parvenza di vita vera, e i soldi gli servono per pagare le cambiali della vespa.
Il richiamo degli Stati Uniti è forte anche per lui. Quando va in un night si lascia incantare dalla tromba made in Usa, le sue note pare gli sussurrino: «Siamo veri, i più veri, i meno falsi, l'equivoco non esiste, show, riguardateci, io un lamento lo sono nel sole e nel vento, io, che grido dalla mia tromba, no, non guardate il poco spazio che mi date, io vi porto dove non c'è limite, dove non ci si tortura perché incapaci di amare, venite, senza pregiudizi. Ma non vedete che vi hanno legato mani e piedi, non vedete i sottili filacci, non sapete abbracciarvi, non ci riuscite, alzatevi, seguitemi, ribellatevi, la mia tromba canta per voi».

Questo passo è emblematico anche per capire lo stile di Incoronato, che rispetto al suo capolavoro Scala a San Potito scritto quindici anni prima, è scarno, essenziale, ridotto all'osso. Intorno alla vicenda principale ne girano altre minori ognuna a suo modo rappresentativa. C'è il figlio di un architetto pieno di soldi che vive una vita di edonismo e felicità. Ci sono quelli che odiano i comunisti, «vermi e cornuti» e progettano di assaltarne la sede. Ci sono i tanti nostalgici del fascismo convinti di dover fermare i rossi e i democristiani che «pensano solo a mangiare, a fare affari, a dividersi i posti, e l'Italia per loro può andare in rovina».

Le famiglie napoletane agiate sono contente quando in casa arriva il frigorifero o il televisore. Quelle povere quando apre una nuova fabbrica o da loro si presenta il compratore di bambini. Le due Napoli si sfiorano, si toccano, si somigliano e mai nessuna prende il sopravvento sull'altra una volta e per tutte.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA