«Piantare fiori nella terra bruciata», domani a Roma tappa conclusiva del tour di voci poetiche ucraine al femminile

Appuntamento giovedì 24 novembre alle ore 18:00 a Roma, presso il MAXXI

A Roma la tappa conclusiva del tour
A Roma la tappa conclusiva del tour
di Donatella Trotta
Mercoledì 23 Novembre 2022, 17:01
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«I tempi del futuro e del passato/ sono rimasti bloccati nel fango della grammatica./ Le cicogne si sono addormentate nei loro nidi/ non essendo ancora arrivate// Solo l’esercito ucraino e i suoi volontari/ sono svegli. In questo conto alla rovescia per una nuova era,/ sarà un bambino nato in uno scantinato/ a ricevere le tavole sacre».

Natalia Beltchenko è una pluripremiata poetessa e traduttrice ucraina, nata a Kiev. L’orrore della guerra ha inevitabimente intaccato il suo immaginario, ispirandole versi potenti come quelli stralciati sopra, tradotti dall’ucraino da Amelia Glaser e Yuliya Ilchuk, e dall’inglese all’italiano da Pina Piccolo. Versi che ora, a meno di un mese dal Natale cristiano, fanno echeggiare ancora più forte il richiamo dell’autrice che così invoca, più avanti: «Essere capaci, come una falena,/ di sussurrare a questo momento: “fermati!”/ e raggiungere la luce, strisciando dietro al fondale,/ come se non fosse mai stato inverno».

Natalia è una delle voci/testimonianze poetiche del tour italiano «Piantare un fiore nella terra bruciata», che da Abano Terme (il 18 novembre scorso), attraverso Bologna (il 19) e Verona (il 20) farà tappa oggi alle ore 18:30 a Milano, nella Casa delle Donne e domani, giovedì 24 novembre alle ore 18:00 a Roma, presso il MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo. Con Natalia Beltchenko ci sono anche Iya Kiva (Donetsk, 1984), poetessa e traduttrice ucraina che vive a Leopoli, e Oksana Stomina, poeta di Mariupol fuggita in tempo all’estero perché suo marito, rimasto fra i difensori di Azovstal, poi imprigionato e portato via dai russi, l’ha convinta ad andar via, anche se lei non voleva abbandonarlo. A riunire le tre intellettuali, cuori pensanti feriti dall’insensatezza di questo ennesimo, cruento conflitto fratricida, è stata Pina Piccolo: traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di migrazioni e di vita in bilico tra due mondi − Stati Uniti e Italia − scrive e traduce in entrambe le lingue. Direttrice della rivista digitale transnazionale «The Dreaming Machine» e tra le co-fondatrici e redattrici de «La Macchina Sognante», per la quale si definisce la “macchinista-madre” con funzioni di coordinamento, Piccolo coordina anche questo viaggio del pensiero poetante al femminile per scuotere le coscienze dal sonno della ragione.

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Ad ogni tappa, ospitata non a caso sia in spazi culturali e istituzionali di prestigio sia in sale di attivismo quotidiano dal basso, il tour si avvale della collaborazione di scrittrici, attivisti e operatrici culturali, riviste letterarie, associazioni della società civile ucraina, musei, organizzazioni di donne, spazi culturali, traduttrici, associazioni di solidarietà ai profughi e Comuni: offrendosi come “piattaforma” e cassa di risonanza per le testimonianze di tre poete e giornaliste ucraine, i cui scritti hanno ottenuto riconoscimenti internazionali, e come occasione preziosa di scambio con il pubblico.

Con una impostazione che abbina reading di poesia in ucraino e italiano ad un’intervista in loco alle scrittrici, seguita da domande dal pubblico, gli incontri – spiega l’organizzazione − sono pensati per offrire alle tre poete il massimo spazio per informare sulla situazione delle persone che si trovano in Ucraina ma anche su quella di chi è profugo all’estero. In un contesto di accoglienza, il dialogo con queste autrici «aiuta anche a meditare su che cosa significhi scrivere in tempi di guerra, sotto il fuoco dell’artiglieria, nei rifugi, mentre si è attive nella difesa territoriale o rifugiate all’estero; e può stimolare anche a discutere su come cambiano le modalità, gli stili e i temi della poesia specialmente quando tutto accade in diretta, con i tempi velocissimi delle nuove tecnologie e dei social media», aggiungono gli organizzatori.

E se a Milano, oggi, nella storica Casa delle donne e con la collaborazione della Casa delle Artiste al centro del dibattito saranno le questioni di genere nella vicenda bellica e di resistenza che tante vittime sta mietendo, tra i civili (proprio di oggi la notizia dell’ennesimo attacco al reparto di maternità e infanzia di un ospedale ucraino, con la morte di un neonato), domani a Roma la tappa conclusiva del Tour sarà non a caso ospitata nel teatro del Museo MAXXI, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo: spazio che si è distinto sin dal 22 febbraio 2022, data dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina, per aver offerto i propri locali a mostre e residenze artistiche e alla creatività di artisti ucraini, che in questo periodo storico sono messi a grande prova dalla guerra anche per quanto riguarda la capacità di produrre arte, a partire dalla mostra «Short Stories. Contemporary artists from Ukraine», fino al progetto di residenze per artiste e artisti ucraini nel Comune di Fontecchio (AQ).  Con Natalia Beltchenko, Iya Kiva e Oksana Stomina ci sarà tra gli altri anche Elina Sventsytska, scrittrice, filologa e docente universitaria ucraina nata nel 1960 a Samara (ora Russia) e attualmente rifugiata ad Anzio, che scrive poesie in ucraino e prosa in russo.

Non solo. Per la tappa romana del tour nazionale Piantare un fiore nella terra bruciata,  se i versi poetici (che saranno letti, tra gli altri, da Isabella Mangani, formatrice, cantante e narratrice che ama definirsi “Costruttrice di guadi” per il suo impegno nei servizi linguistici in inglese, tedesco e portoghese) rappresenteranno l’urgenza della situazione della popolazione ucraina che da mesi si trova ad affrontare la brutale invasione russa (la terra bruciata), la poesia stessa incarnerà sia la resistenza che la speranza che l’arte è in grado di trasmettere (piantare un fiore). Ad accompagnare le parole, anche le immagini di Niccolò Celesti, fotoreporter che con il progetto La primavera di Kiev sta raccontando il conflitto russo-ucraino attraverso ritratti e squarci di vita di civili e soldati, nonché documentando le macerie lasciate dalla guerra. L’incontro romano, condotto da Pina Piccolo e Marina Sorina, sarà introdotto da Giovanna Melandri, Presidente della Fonazione MAXXI. Seguiranno gli interventi del fotoreporter Niccolò Celesti e delle quattro poete e scrittrici ucraine, i cui scritti hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Sono voci differenti di donne che tentano di cambiare un mondo sottosopra. E timbri diversi per raccontare coralmente una comune tragedia: in una recente intervista a «Il Manifesto», ad esempio, Iya Kiva afferma che scrivere in una situazione di guerra induce a trovare le parole esatte del disorientamento e che in un contesto di rapidi cambiamenti la letteratura restituisce la capacità di fermare il tempo per fissare alcune esperienze umane.

Le tre poete toccano nuclei diversi che vanno dal rapporto con la natura mentre è in atto una guerra (Beltchenko), che cosa significa essere in un paese che sta cercando di definire la propria identità e il rapporto con la lingua, specialmente quando il russo era la lingua in cui si scriveva poesia prima dell’invasione (Kiva), il trauma di vedere la propria città, Mariupol, rasa al suolo e la propria identità e cultura annullati (Stomina). La filologa testimonia la frattura esistenziale subita. Tutte, come pure gli scritti di oltre venticinque scrittori ucraini contemporanei reperibili nel contenitore digitale di scritture dal mondo La Macchina Sognante, rivista che ha fatto da propulsore al tour, offrono uno sguardo senza infingimenti sulla realtà contemporanea. Con un repertorio di oltre 20 articoli pubblicati dal 26 febbraio ad oggi, la maggior parte dei testi pubblicati sono stati tradotti in italiano usando l’inglese come lingua ponte, e alcune poesie sono state tradotte dall’ucraino grazie alla collaborazione con la scrittrice e attivista Marina Sorina, nata a Kharkiv (Ucraina) e attiva e residente a Verona dal 1996.

Ed è ancora Iya Kiva a usare le parole come pietre, quando in una intervista a «La Stampa» dice: «Quando vedi le immagini di Bucha, Borodjanka, Mariupol, Izjum e Irpin ti interroghi, perché c’è sempre il rischio dell’estetizzazione della guerra o dell’appropriazione dell’esperienza altrui. Ma la finalità della poesia che si scrive adesso è quella di testimoniare e questo tipo di poesia non viene percepito come un atto estetico, ma come un atto civile, un dovere nei confronti del presente e del futuro dell’Ucraina».  E aggiunge: «Gli ucraini si rendono conto che la vittoria in questa guerra è una questione di sopravvivenza, che riguarda il futuro non solo dell’Ucraina ma di tutta l’Europa. “Stand with Ukraine” non basta, dev’essere “Win with Ukraine”. Una vittoria militare, culturale, mediatica, economica. Per un certo periodo, il tema bellico rimarrà il perno attorno a cui ruoterà la letteratura, lo trovo naturale. La cultura combatte sempre per limitare la barbarie, nell’eterna lotta tra bene e male».

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