Napoli, effetto scudetto: «Ecco perché sempre più aziende scelgono l'azzurro»

L'intervista al prof Luigi Cantone: le attività di branding valorizzano l'immagine e i valori delle marche che vanno ad associarsi al brand Napoli

Cartellonistica pubblicitaria che richiama l'attenzione al terzo scudetto conquistato dal Napoli
Cartellonistica pubblicitaria che richiama l'attenzione al terzo scudetto conquistato dal Napoli
di Emma Onorato
Lunedì 22 Maggio 2023, 11:15 - Ultimo agg. 23 Maggio, 19:17
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Questo è stato l’anno dello scudetto per la città di Napoli. Una città in festa che ha coinvolto tifosi partenopei da tutto il mondo. Ma, tale euforia, può essere letta anche da un altro punto di vista. Uno dei tanti effetti scudetto si traduce anche in altro: alcune aziende - sia napoletane che a livello nazionale - hanno abbracciato uno stile marketing che cavalca la scia dello scudetto conquistato dalla maglia azzurra.

È un fenomeno che cela una precisa strategia di marketing? A rispondere ai microfoni del Mattino è Luigi Cantone, professore di Marketing e Strategie d'Impresa presso l'Università Federico II di Napoli. «Dietro questo fenomeno ci sono una serie di attività di branding che fanno parte di una strategia di marketing - spiega il professore Cantone - Più precisamente, tali attività, cercano di valorizzare e rafforzare l'immagine e i valori delle marche che vanno ad associarsi al brand Calcio Napoli che in questo momento sta vivendo il successo del terzo scudetto». Continua a spiegare Luigi Cantone: «Quando si trattano questi fenomeni, caratterizzati dall'unione di più marche, si entra nell'ambito di un insieme di strategie che, tuttavia, sono abbastanza diverse tra di loro». In città, infatti, è facile notare come si sia diffusa a macchia d’olio una sfilata di cartelloni pubblicitari che richiamano l’attenzione sul recente traguardo raggiunto dalla squadra di Spalletti. Così il professore aggiunge: «Se osserviamo la cartellonistica pubblicitaria, o andiamo a navigare su internet per vedere cosa stanno facendo le aziende con brand di rilievo nazionale ed internazionale (che si sono unite al brand Calcio Napoli), naturalmente scopriamo una'ampia diversità di strumenti utilizzati e di strategie che sono alla base».  

Si tratta di una strategie di lunga o di breve durata?
«Cambiando gli strumenti anche la strategia - o i risultati della stessa - ha una gittata più o meno lunga, dipende da come viene definita la tipologia di alleanza di marca».

Quali sono le tipologie?
«Le tipologie sono diverse. Abbiamo il co-branding, ovvero quando due o più marche si mettono insieme per creare un nuovo prodotto e lanciarlo sul mercato. Naturalmente questa forma di co-branding richiede che entrambe le marche contribuiscano alla definizione del prodotto e del brand, alla comunicazione e commercializzazione del prodotto. Quindi entrambe le marche sono coinvolte nel processo di sviluppo, realizzazione delle attività di marketing che riguarda il nuovo prodotto».

Così il professore - prima d'iniziare a fare degli esempi concreti - premette che, non essendo all'interno del processo decisionale, non può avere tutte le informazioni. Quindi i riferimenti che sta per fare, fanno parte di una sua interpretazione.  

Si inizia con l'analizzare il nuovo prodotto lanciato da pasta Garofalo: «Si tratta di un prodotto del tutto nuovo e speciale perché la pasta è a forma di pallone: al suo interno è stata riprodotta la N del Napoli. Il packaging presenta sia lo scudetto che i colori della squadra (l'azzurro e il biancoi). Quindi qui abbiamo un nuovo marchio N - naturalmente con l'endorsed branding - e dall'altro lato abbiamo la N del Napoli - riprodotta sul packaging - che si unisce intorno a questo nuovo prodotto lanciato sul mercato». «Qui finiscono le mie informazioni. Ora non so se entrambe le marche hanno partecipato alla definizione e saranno entrambe coinvolte nel processo di commercializzazione e comunicazione, oppure se è solo pasta Garofalo a prendersi questo tipo di responsabilità».

Ma c'è anche un'altra forma di alleanza tra le marche: «Si tratta di una tipologia chiamata licenza o licensing, dove probabilmente - per questa opportunità di creare un nuovo prodotto - la marca licenziataria (in questo caso pasta Garofalo) ha dovuto pagare un costo per tale licenza - poi precisa - Ma questa è una questione che non posso sapere. Quello che invece posso osservare è che ci sono degli elementi di co-branding».

Cantone continua la sua analisi sul nuovo prodotto lanciato da pasta Garofalo, soffermandosi su un aspetto molto interessante: «Questo prodotto, e questa marca, è una limited edition, ovvero una variante del co-branding dove si dà una quantità limitata di prodotto. Una strategia studiata per creare nel consumatore un senso di mancanza e di desiderio nel possedere questo prodotto unico; legato a un evento unico. Ma quel è la mossa intelligente che crea una prospettiva di lunga durata? Supposto che la mia supposizione sia giusta, in questo caso si va a lavorare su un prodotto unico, su un packaging unico, e quindi non si sceglie di comprare quel pacco semplicemente per la pasta, perché la pasta la si può anche consumare, ma si conserva il packaging. E magari con tre o quattro di quelle confezioni si può comporre un collage da esposizione. E quindi, supposto che il consumatore sia un fan del Napoli, riuscirebbe a conservare nel tempo - ed ecco che si raggiunge l'obiettivo di lunga durata - quel determinato packaging (con quella specifica "N" fatta di Società Calcio Napoli e pasta Garofalo) che rimarrà negli anni per dire: "Io c'ero". Quindi in questo caso l'edizione limitata confermerebbe - per entrambi i marchi - un'operazione di branding fenomenale, e in particolare per la marca del prodotto. Ma naturalmente è interessante anche per il brand Calcio Napoli perché nel momento in cui si fa co-branding, il marchio è associato a tante altre marche di prodotto, come biciclette, giochi per bambini o altri prodotti alimentari. In questo caso il brand Calcio Napoli riuscirebbe a fare brand extension, ovvero porterebbe la propria marca su categorie di prodotti e servizi che normalmente non potrebbe raggiungere, generando opportunità di fatturato, e al contempo, collegando il valore del brand a tanti altri prodotti a cui non potrebbe facilmente arrivare». 

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Quali sono le finalità?
«È chiaro che sono di business, ma sono anche finalità indirizzate a rinfrescare la propria immagine e a collegarsi a un evento che è noto in tutto il mondo».

Quali sono le altre strategie di marketing?
«Gli altri fenomeni di associazione di una marca con quella del Calcio Napoli, potrebbero racchiudersi in altri due esempi. Uno è rappresentato dall'intimo di Yamamay e l'altro da Jadea. Anche questi sono diversi tra loro. Jadea parla di campioni d'Italia e non cita alcun elemento strutturale tra quelli della marca Calcio Napoli. Quindi in questo caso non possiamo parlare né di licensing né tantomeno di co-branding. Suppongo che questa ipotesi, rispetto alla prima - ovvero quella della pasta Garofalo - sia di breve durata».

Invece Yamamay?
«Credo che abbia fatto un'operazione diversa con la scelta dello slogan "L'intimo dei campioni"  che in questo caso lancia una nuova linea di intimo per uomo». Da quanto si può vedere, Yamamay ha colto al volo l'opportunità di poter far indossare la sua nuova collezione a tre giocatori del club: Simeone, Jesus e Zielinski. «Qui c'è una cessione dei diritti d'immagine. Da quello che leggo - sottolinea Cantone - i diritti d'immagine dei calciatori sono di proprietà della Società del Calcio Napoli e quindi evidentemente il brand ha pagato per ottenerli. Ma quello che vediamo in quest'altra fattispecie è che non c'è nessuna correlazione al brand Napoli». Insomma viene solo utilizzata l'immagine dei tre campioni.  

Ma qual è la strategia di marketing più efficace?
«Se dovessi dare una valutazione più strutturale della strategia di alleanza tra le marche, quella del co-branding è senza dubbio la più centrata, ovvero è quella con una maggiore durata temporale».

Il futuro del branding è stato al centro del suo ultimo convegno, tenutosi qui, all’Università Federico II di Napoli. Quali sono le prossime sfide?
«Le marche sono dei sistemi competitivi che creano lo sviluppo dell'azienda, guidano la classificazione categoriale, di prodotto e di servizi. E questo è un dato certo, ovvero le marche devono essere sistemi competitivi - continua a spiegare il professore  - I brand devono abbracciare degli scopi, delle cause, che vanno al di là del business; abbracciare delle sfide sociali e culturali che il mondo moderno ci pone e quindi devono dare anche una sorta di indirizzo di opinione su come affrontare queste problematiche sociali e culturali. Mi riferisco a temi come l'ambientalismo, l'inclusività, la diversità, le diseguaglianze sociali». Infine conclude: «Quindi le marche, oltre ad essere dei sistemi competitivi, devono essere dei sistemi di leadership su un piano sociale e culturale».

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