Commercio in crisi, chiudono 111mila negozi: aprono solo gli stranieri

Confcommercio: tra il 2012 e il 2023 ridotti di un terzo i venditori ambulanti

Commercio in crisi, chiudono 111mila negozi: aprono solo gli stranieri
di Lorenzo Calò
Venerdì 9 Febbraio 2024, 00:02 - Ultimo agg. 14:59
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Provate a cercare un negozio di giocattoli o una libreria nel centro storico di una grande (o media) città. Sarà più facile trovare la bacchetta magica di Harry Potter (per altro viene offerta sul web alla metà del prezzo) o la pietra filosofale... È solo uno degli effetti della desertificazione commerciale nel tessuto urbano che – secondo una indagine di Confcommercio che ha coinvolto 120 città d'Italia – ha portato a una perdita secca, in dieci anni (dal 2012 al 2023) di 111mila attività al dettaglio costrette a chiudere i battenti. Per non parlare di altri 24mila operatori ambulanti cancellati dal mercato. Insomma, nei centri storici sono sempre meno gli esercizi commerciali tradizionali (libri-giocattoli -35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%) e sempre più quelli che offrono servizi e tecnologia (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%), oltre alle attività di alloggio (+42%) e ristorazione (+2,3%). Confermata dunque la tendenza che ha trasformato il cuore di molte città in una sorta di “food hall” a cielo aperto mentre la drastica contrazione di attività legate allo smercio di carburanti (-40,7%) si spiega con la scelta urbanistica, adottata da molte amministrazioni locali, di portare in periferia e sulle grandi strade di collegamento gli impianti di rifornimento e le aree di servizio.

Nel 2012 i negozi al dettaglio erano 551.317, adesso sono 439.805.

Stabile invece l'occupazione a riprova che questo mondo ha sempre meno dimensioni familiari: i dipendenti erano 22.556 nel 2012, nel 2023 sono saliti a 23.503. E dunque, paradossalmente, questo pezzo di terziario ha retto con maggiore facilità durante gli anni del Covid (dove il calo generale è stato del 6,7 per cento) grazie ai sostegni in favore delle imprese in grado di ridurre lì per lì quella mortalità aziendale che però, purtroppo, sta riemergendo progressivamente proprio ora.

In base alle risultanze del dossier “Città e demografie d'impresa”, il Mezzogiorno e in particolare capoluoghi come Napoli, Lecce, Bari, Matera, Cosenza hanno fatto registrare il più alto incremento di conversione di attività commerciali che, abbandonate le categorie tradizionali, hanno popolato i centri storici di bar, ristoranti, bistrot, B&B, centri-servizi per l'accoglienza turistica e l’hospitality. In tutto il Sud la variazione 2012-2023 a favore di nuove forme di alloggio e servizi di ristorazione è stata rispettivamente del 168,2 per cento e 28,3 per cento. Mutati anche i criteri di identificazione di categoria con molti bar che hanno cambiato codice commerciale spostandosi sulla somministrazione propriamente detta («ristoranti»). I Comuni monitorati in Campania sono Avellino, Benevento, Caserta, Salerno, Pozzuoli, Torre del Greco. «Rimane prioritario contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città – ha detto Carlo Sangalli, presidente nazionale di Confcommercio - In questa direzione vanno il progetto Cities di Confcommercio e la rinnovata collaborazione con l’Anci a conferma del nostro impegno per favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle città».

Ma a destare maggiore preoccupazione è anche il progressivo impoverimento di imprese italiane sul mercato: nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi si riducono le aziende italiane (-8,4%) e aumentano quelle straniere (+30,1%). E metà della nuova occupazione straniera nell’intera economia (+242mila occupati) è proprio in questi settori (+120mila). «Per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno – è l'analisi del rapporto - il commercio di prossimità deve puntare su efficienza e produttività, anche attraverso l’innovazione e la ridefinizione dell’offerta. E resta fondamentale l’omnicanalità, ovvero l’utilizzo anche di un canale online ben funzionante». Negli ultimi cinque anni, infatti, gli acquisti di beni su internet sono quasi raddoppiati passando da 17,9 miliardi del 2019 a 35 miliardi del 2023 mentre l'intero giro di affari è stimato in circa 54 miliardi. «La crescita dell’e-commerce è la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi – è la conclusione - ma resta comunque un’opportunità anche per il commercio “fisico” tradizionale». 

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