Sud, la rivincita delle piccole e medie aziende: corrono di più e sono più ottimiste

Il rapporto «I fattori di competitività delle medie imprese del Mezzogiorno: il ruolo dei capitali strategici»

Sud, la rivincita delle piccole e medie aziende
Sud, la rivincita delle piccole e medie aziende
di Nando Santonastaso
Martedì 19 Dicembre 2023, 10:30 - Ultimo agg. 15:33
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«Le medie imprese sono un universo composto ancora da poche aziende nel Mezzogiorno, ma stanno dimostrando di potere fare la differenza per sostenere lo sviluppo del Sud e recuperare il ritardo accumulato con il resto del Paese, anche grazie ad una loro elevata propensione ad investire nella Duplice Transizione e sui temi ESG. Per questo vanno incoraggiate, anche attraverso una più equa fiscalità, affinché possano proliferare numericamente e contribuire a creare nel Meridione un tessuto produttivo più solido e competitivo a vantaggio dell'Italia intera». Le parole del presidente di Unioncamere Andrea Prete, nel corso della presentazione del rapporto «I fattori di competitività delle medie imprese del Mezzogiorno: il ruolo dei capitali strategici» realizzato dall'Area Studi di Mediobanca, da Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne e presentato ieri a Catania presso la Camera di commercio del Sud Est Sicilia, sintetizzano efficacemente i lati positivi e i limiti delle Medie imprese meridionali. 

Poche, solo 361 sulle oltre 4mila del totale Italia, concentrate soprattutto in tre settori (alimentari- bevande, meccanica e chimico-farmaceutica) ma capaci di correre più delle altre macroaree. E soprattutto frenate da un regime fiscale che non consente loro margini, anche negli investimenti, più significativi. «La crescita delle medie imprese del Mezzogiorno è un fenomeno positivo, ma il loro numero resta esiguo rispetto al totale nazionale - conferma Costanzo Jannotti Pecci, presidente dell'Unione Industriali di Napoli -.

C'è quindi una questione strutturale, che riguarda la difficoltà delle piccole aziende a raggiungere dimensioni superiori, così come dovrebbe accadere in un sistema che funzionasse in base a criteri di produttività e competitività. Nel Sud, in particolare, il fenomeno delle microimprese è particolarmente accentuato, favorito anche, se non soprattutto, da normative fiscali più flessibili per i piccoli, più rigorose verso le realtà consolidate. Questa differenza di trattamento va superato, perché, come dimostra anche il rapporto Mediobanca-Tagliacarne-Unioncamere, le medie aziende sono più propense all'innovazione e generano maggiore fatturato. Vanno inoltre rafforzati strumenti agevolativi come i contratti di sviluppo, in grado di attrarre nuovi insediamenti e rafforzare il tessuto produttivo preesistente». 

Di sicuro sono tante le medie imprese del Mezzogiorno che scelgono con convinzione la strada della Duplice Transizione, green e digitale, per diventare più competitive: il 38% investirà in digitale e green entro il 2025, in continuità con quanto fatto nel triennio precedente 2020-2022 e il 25% ha in previsione di farlo tra il 2023 e il 2025. Ma c'è un altro 27% più reticente che non ha investito nel passato nella Twin Transition e non intende farlo per il futuro. A fare da barriera agli investimenti nella digitalizzazione sono soprattutto le risorse economiche interne, i finanziamenti insufficienti, dice il Rapporto, e il costo del denaro rappresentano un ostacolo per il 53% di queste realtà imprenditoriali. Ma a frenare, anche se in misura minore, sono pure il peso della burocrazia (24%) e le questioni di carattere culturale (23%) che costituiscono invece la principale barriera alla Transizione Green (38%), prima ancora di quella di natura economica.

Ma è, in particolare, sul Capitale Umano, ritenuto strategico dalle medie imprese del Mezzogiorno e non solo, che emergono preoccupanti contraddizioni: il 29% non adotta infatti ancora nessuna politica per trattenere i talenti (contro il 15% del resto d'Italia). Tuttavia, quando decidono di agire, la leva salariale resta il primo strumento per combattere la great resignation (29%), seguito a ruota dai benefit aziendali (21%). Anche perché, quando puntano sul proprio personale, le medie imprese meridionali sentono di avere una marcia in più: il 50% che investe in Capitale Umano stima un aumento del fatturato entro il 2025 contro il 37% di chi non lo fa. 

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«Non esiste un unico Mezzogiorno a cui attribuire un'indiscriminata etichetta di area depressa e senza speranza, ma più Mezzogiorni, alcuni dei quali intraprendenti e ponte di collegamento con il Nord. La provincia di Catania, ad esempio, ha una densità imprenditoriale superiore a quella di Forlì-Cesena, Pesaro-Urbino e Parma. È fondamentale, allora, valorizzare le iniziative imprenditoriali di successo del Sud, certamente nell'ambito delle medie imprese, e diffonderle nelle aree meno sviluppate», sottolinea il direttore dell'Area Studi Mediobanca, Sud, la rivincita delle piccole e medie aziende: corrono di più e sono più ottimiste. Obiettivo sacrosanto ma che non appare proprio dietro l'angolo, visto che il numero delle medie imprese meridionali non riesce a crescere sensibilmente rispetto al totale nazionale. 

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