Racket nel Napoletano, la legge del boss: «Da oggi il tuo bar è mio, altrimenti salti in aria»

Assalto all’economia pulita, la svolta: «Minacce in videochiamata dalle celle»

Carabinieri al Parco Verde
Carabinieri al Parco Verde
di Giuseppe Crimaldi
Lunedì 29 Gennaio 2024, 23:55 - Ultimo agg. 30 Gennaio, 18:01
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Cambiali per pagare l’estorsione. Si torna a parlare del clan Di Lauro - che nonostante gli arresti e le decimazioni seguite a due sanguinose faide di camorra dimostra di essere ancora forte e in grado di controllare il territorio dell’area nord di Napoli - e di come sia in grado di inquinare il tessuto dell’economia sana ricorrendo a intimidazioni e violenze.

Gli emissari della cosca di Secondigliano fondata da “Ciruzzo o’ milionario” in questo caso avevano addirittura esteso le proprie mire oltre i confini cittadini, imponendo il “pizzo” al titolare di un bar di Arzano, costringendolo a firmare cambiali per 70mila euro a “copertura” del debito di mille euro al mese.

Per mesi la vittima ha ceduto al ricatto, fino a quando - messo con le spalle al muro e strozzato da quelle richieste economiche - ha deciso di vendere l’esercizio commerciale per riaprirne un secondo, in altra zona.

A quel punto i camorristi sono tornati alla carica con minacce ancora più pesanti e rinnovando l’imposizione dei mille euro mensili a titolo di tangente per il clan. A quel punto l’uomo ha trovato la forza e il coraggio di rivolgersi ai carabinieri, denunciando i suoi aguzzini. 

A scrivere il finale di questa incredibile vicenda è stato il giudice per le indagini preliminari, che accogliendo le richieste dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha emesso cinque misure cautelari in carcere nei confronti di altrettanti indagati. Tra gli arrestati ci sono Vincenzo Di Lauro, figlio del boss Paolo, e il suo braccio destro Umberto Lamonica

Ma la vicenda è complessa, e bisogna raccontarla dall’inizio. Non tutte le malefatte dei Di Lauro erano emerse dalla denuncia dell’imprenditore, ma grazie alle indagini del Ros di Napoli e dei militari della compagnia di Casoria la drammaticità dei fatti è emersa in tutta la sua interezza. Perché gli investigatori hanno scoperto che già nei primi giorni del gennaio 2019 la stessa vittima dell’estorsione aveva addirittura versato al gruppo criminale una somma stratosferica, addirittura 100mila euro, pur di mettere fine alle angherie della camorra. Anziché accontentarsi, gli aguzzini erano tornati alla carica, più ringalluzziti di prima. La vita d’inferno del proprietario del bar si è interrotta solo grazie alla denuncia.

La svolta arriva a novembre, quando l’imprenditore, stanco della vessazioni che stava subendo, ha deciso di denunciare ai carabinieri di Arzano la sua odissea, iniziata quasi tre anni prima, precisamente nell'ottobre del 2020.

Il “pizzo” è stato corrisposto regolarmente fino al luglio 2022 quando la vittima, esasperata, ha deciso di vendere il bar per liberarsi della maxi-tangente. Speranza rivelatasi vana, perché subito dopo avere aperto un’altra caffetteria in una diversa zona di Arzano gli aguzzini si sono ripresentati per minacciarlo di morte e soprattutto per pretendere nuovamente i mille euro al mese.

Ieri sono scattate le manette. I militari del Raggruppamento operativo speciale, insieme con i colleghi della compagnia di Casoria, al termine di indagini coordinate dalla Dda hanno arrestato cinque persone (tre dei quali erano già in carcere): oltre a Vincenzo Di Lauro e a Lamonica, si tratta di Gennaro Bizzarro, Giovanni e Mario Cortese. Dalle indagini è emerso un particolare sconcertante: il boss avrebbe direttamente rivolto minacce alla vittima delle estorsioni dal carcere, addirittura riuscendo a contattarlo con alcune videochiamate. Le telefonate sono ora al vaglio degli inquirenti.

Video

A sostegno delle situazioni pregresse (e non denunciate dalla vittima), invece, ci sono anche alcune dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Salvatore Roselli, soprannominato “Frizione”, elemento di vertice del clan Amato-Pagano (nato da una scissione dal clan Di Lauro) riscontrate dai militari del Ros.

Nel gruppo di indagati figurano tutti nomi ben noti alle cronache giudiziarie. Oltre a Vincenzo Di Lauro, “rampollo” della nota famiglia di camorristi, compaiono quelli di Giovanni Cortese, detto “‘o Cavallaro” (già detenuto), così soprannominato per avere iniziato la propria carriera criminale nei cosiddetti “cavalli di ritorno” e il fratello Mario, entrambi ras del Rione Berlingieri per conto del clan Di Lauro. 

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