Stupri a Caivano, l'urlo di una vittima: «Non ce la faccio più, vi prego smettetela»

Le bambine in alcuni casi persino lapidate nelle stanze degli orrori

Il Parco Verde di Caivano
Il Parco Verde di Caivano
di Leandro Del Gaudio e Marco Di Caterino
Martedì 26 Settembre 2023, 23:52 - Ultimo agg. 28 Settembre, 07:12
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La villa comunale, l’ex isola ecologica, l’ex campo di calcio. Quelle coperte usate come separé, gli spogliatoi in disuso come set per produrre video che servivano a minacciare le due bambine vittime della peggiore favola contemporanea.

Stupri, video, revenge porn. Minacce e botte. Finanche a colpi di pugni e calci, come la prima volta toccata alle due cuginette. Siamo a giugno scorso, le due bambine hanno 11 e 13 anni compiuti, quando si recano nei pressi della Villa comunale di Caivano. Non immaginano di finire in un inferno che - scrive il gip Umberto Lucarelli - «rischia di condizionare il resto della vita delle due vittime di questa storia». Entrambe hanno sogni romantici, sanno che quella della Villa è la zona dello struscio, dove è possibile incontrare ragazzini più grandi, magari vivere la storia d’amore che - a quell’età - si attende come la svolta della propria educazione sentimentale. È a questo punto che iniziano i primi approcci, come le due ragazzine - sentite separatamente - hanno la possibilità di raccontare al maresciallo dei carabinieri che raccoglierà le loro testimonianze nella stanza ad hoc in caserma.

Si fa avanti il più grande, spalleggiato da un amico. Iniziano avance che non hanno nulla di romantico. Palpeggiamenti, molestie, abusi. Le ragazzine finiscono a terra, trascinate per i capelli.

Poi i filmati. Che garantiscono nelle mani del branco uno strumento sempre attuale per consumare ulteriori estorsioni sessuali: «Avevo paura che se avessi parlato, se avessi raccontato tutto ai miei genitori, avrebbero fatto girare quei video». Stesso discorso da parte della più piccola: «Non mi piaceva, urlavo basta, chiedevo pietà, non ce la facevo più, mi tiravano i capelli, ma avevo la certezza che qualcuno stesse facendo un video». Revenge porn, appunto.

Video

Gogna mediatica e racket sessuale. È andato avanti così a giugno e luglio, «difficile quantificare - spiegano i pm - di fronte all’intensità e alla ripetitività di queste azioni». Dopo le prime violenze sessuali, le due ragazzine capiscono che non devono più frequentare la villa. Vanno altrove, nella zona dell’ex campo sportivo, altro luogo in cui è possibile incontrare amici, finendo sempre però nella stessa trappola. I riscontri parlano chiari: braccia e schiena piene di lividi, immortalati sui cellulari delle due vittime. In alcuni casi sono state lapidate. Colpite con le pietre, all’interno delle stanze degli orrori. Mostruosità su due angeli indifesi, entrambe esposte alle risate e allo scherno del gruppo: «Ci chiamavano puttane - dice una delle due bambine -: P.M. è malvagio, lo odio». Il giudice parla di «crudeltà», di «mancanza di pietà», di sevizie gratuite, da parte di soggetti che camminavano armati di «cazzottiere e tirapugni», quasi tutti già segnalati per episodi di risse e resistenze, aggressioni e violenze a sfondo sessuale, senza mai incappare in una sanzione in grado di recuperarli.

 


Vite interamente consegnate al male, a leggere le pagine delle misure cautelari notificate a maggiorenni e minorenni: come quella di F.B. uno dei protagonisti di questa storia, che a 15 anni va «a lavorare» in zona Parco Verde. Di cosa si occupa? Spaccia droga, si fa accompagnare da un bambino di soli 9 anni, che gli fa da palo. Una piccola vedetta, sia nello smercio di sostanze stupefacenti, sia quando si tratta di mettere in atto la propria trama di violenze: sarà infatti il bambino a chiedere alla 13enne di andare a un appuntamento, nel quale sarà costretta a subire la sua prima violenza fisica. Un orrore che termina alla fine di agosto, quando - dopo il clamore suscitato dalla denuncia di stupri di due minorenni - le due bambine vengono ascoltate nella caserma dei carabinieri.

Funziona il contest attrezzato dai militari, quella stanza dedicata alle fasce deboli viene riconosciuta da due bambine come un pezzo di vita mancante, come il tassello di un puzzle che non c’era mai stato nelle loro vite. Finalmente il calore di uno sguardo, la comprensione che diventa sorriso e condivisione. Le due ragazzine che superano il gelo dei loro primi anni di vita. Come è noto, il Tribunale per i minori le ha spostate all’interno di una comunità e affidate alla cura di un tutor. Da giorni stanno riorganizzando le proprie esistenze. Studiano, giocano. Già, il gioco. Come ha spiegato la procuratrice minorile Maria De Luzenberger, «ora sono lontane da quei posti, sono affidate alla cura di chi le fa studiare e giocare. Come sempre dovrebbe accadere a chi ha appena compiuto 13 anni di vita». Inutile dire che, dopo gli arresti di ieri, l’inchiesta non è chiusa. Anzi. C’è un filone, quello della diffusione di materiale pedopornografico che va avanti. Al lavoro, ovviamente in sintonia con la Procura per i minori e i pm di Napoli nord, il pool reati contro le fasce deboli del Centro direzionale, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Raffaello Falcone. Chiaro l’obiettivo: capire se ci sono altri registi o committenti dei video della vergogna. 

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