Napoli, festa del papà anche tra i tifosi: «Una passione tramandata nel nome di Maradona»

La storia di Enrico e Francesca, padre e figlia uniti dall’amore azzurro

Napoli, festa del papà anche tra i tifosi
Napoli, festa del papà anche tra i tifosi
di Alessio Liberini
Martedì 19 Marzo 2024, 19:53
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«Ho trasmesso questa grande “malattia” ai miei figli fin da subito. A loro ho raccontato tutto quello che è il mio amore per questo sport, per il Napoli e soprattutto per Diego». Nel giorno della “Festa del papà”, Il Mattino celebra tutti i padri tifosi. Principali custodi di una storia d’amore che sotto l’ombra del Vesuvio si tramanda di generazione in generazione nel segno di un unico e immenso comun denominatore: Diego Armando Maradona.

L’immagine che sintetizza al meglio cosa significhi avere una passione che va ben oltre il tempo e lo spazio è quella di una serata che nessun partenopeo potrà mai dimenticare. È il 4 maggio 2023, sulle tribune dello stadio Diego Armando Maradona, papà Enrico Gelotto, 54 anni, indossa la storica dieci azzurra griffata Buitoni. Affianco a lui c’è sua figlia Francesca, di anni 22, che veste invece la divisa di gioco a strisce verticali bianco-azzurre realizzata l’anno prima dalla società campana per commemorare la scomparsa del Pibe de oro.

Anche se il match si gioca a 900 chilometri di distanza, nell’impianto di Fuorigrotta ci sono almeno 50mila tifosi pronti a far festa. 100mila sono gli occhi puntati sui maxischermi, installati nello stadio dal patron Aurelio De Laurentiis, che proiettano in diretta un Udinese-Napoli destinato ad entrare nella storia.

Sugli spalti, tra cori, lacrime e bandiere, si stanno vivendo i novanta minuti più lunghi di Napoli degli ultimi trentatré anni.

«Mi sento privilegiato perché ho avuto la fortuna di vedere dal vivo tutti e tre i tricolori degli azzurri, la stagione del primo scudetto avevo appena 17 anni – ricorda con un velo di nostalgia papà Enrico -  Ma le emozioni vissute quella sera del 4 maggio mi hanno riportato indietro nel tempo. Siamo andati allo stadio con mia moglie e mia figlia, girarsi e vedere Francesca piangere al gol di Osimhen è stato qualcosa che non si può spiegare: lì ho compreso cosa significava aver trasmesso quelle emozioni. Vedere una figlia gioire e piangere per la tua stessa passione è qualcosa di indescrivibile». 

«I minuti di recupero sembravano infiniti – ammette Francesca – tremavano mani e gambe ed ogni secondo mi giravo per cercare lo sguardo di papà. Sapevo che per lui non era una sensazione nuova ma per me si. Poco prima del triplice fischio non c’è l’ho fatta più: ci siamo abbracciati ed abbiamo iniziato a piangere insieme».

La sera del 4 maggio 2023 potrebbe essere, difatti, il giusto riconoscimento che il dio laico del calcio ha voluto riservare a tutti quei sostenitori azzurri nati e cresciuti nel mito del Diez. Una ricompensa - dovuta - a tutte quelle generazioni di napoletani che si sono innamorati di una squadra tramandata prima nelle storie dei nonni e poi in quelle dei padri. Senza di loro, probabilmente, oggi molti ragazzi non sarebbero nemmeno tifosi. A Napoli c’è però uno spartiacque che cristallizza, in maniera irreversibile, racconti e narrazioni di ogni papà tifoso: l’estate del 1984. Il 5 luglio per l’esattezza, quando nell’allora stadio San Paolo sbarcò per la prima volta il «dio del calcio».

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«È un po’ come si fa con gli anni di Cristo – ammette, ironizzando ma non troppo, Enrico – c’è un prima e un dopo Maradona». Per l’invidia di qualsiasi supporter azzurro, il signor Gelotto fa parte di quella schiera di “tifosi privilegiati” che ha potuto toccare Diego con mano nei suoi anni in Italia. «In quel periodo – racconta – ero nelle giovanili del Napoli e spesso mi capitava di fare il raccattapalle durante le partite di campionato. Intorno alla fine degli anni Ottanta, quando il mister Alberto Bigon lo mise fuori squadra, ho avuto anche la fortuna di poter giocare una partita di calcetto con lui su un campetto a Posillipo. Lo vedevo come una sorta di capo popolo, era il nostro papà e noi i suoi figli: impersonava tutto quello che era Napoli».

«Papà mi parla ancora oggi di “talento puro” – ricorda Francesca -  lui lo mette vicino a quelle persone che trovi nei libri di storia. Quella partitella a Posillipo? L’abbiamo rivista miliardi di volte in videocassetta alla tv come una sorta di mantra – prima che diventasse virale sui social -  Sento parlare spesso di persone che Maradona non l’hanno vissuto. Io fortunatamente grazie a mio padre porto ogni giorno con me i suoi aneddoti e lui quando sente che si accostano altri nomi a Diego si fa sempre una grande risata. Grazie ai racconti tramandati da papà, a casa nostra ancora oggi quando si parla di Maradona e come se si parlasse di una divinità. La mia conoscenza sul calcio? La devo tutta a mio padre e ai suoi racconti».

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