Musicista ucciso a Napoli, le notti folli ​del sedicenne “pistolero”

Era un rapinatore di Rolex: a 14 anni aveva cercato di uccidere un altro ragazzino

Il luogo del delitto
Il luogo del delitto
di Giuseppe Crimaldi
Venerdì 1 Settembre 2023, 00:00 - Ultimo agg. 2 Settembre, 09:00
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Chissà se nelle ore della prima notte trascorsa in una cella del centro di prima accoglienza per i minori di Napoli i pensieri del 16enne accusato di aver ucciso Gianbattista Cutolo saranno corsi alle ultime ore di libertà, prima di commettere quella follia. Chissà se sarà stato scosso da un’ombra di pentimento, per la sua giovane vita che va a inabissarsi dietro le sbarre di Nisida ma soprattutto per quella che ha strappato al giovane musicista 24enne.

Tutto per un motorino parcheggiato in doppia fila. Ma, in fondo, quella del minorenne che se andava in giro con una pistola carica in tasca, era una vita già segnata dal fallimento. Una esistenza destinata, prima o poi, ad andare a sbattere su qualcosa, perché basta scorrere la fedina penale e i precedenti che già si era accollato. Le notti di questo ragazzo biondo, corporatura robusta e sguardo tagliente di quelli che quando lo incroci ti mette soggezione, erano contrassegnate da avventure pericolose, spericolate al punto da indurlo a scendere dalla sua abitazione dei Quartieri Spagnoli sempre con la pistola addosso: una calibro 6,35 Browning, detta “lillipuziana” per le sue piccole dimensioni e per la facilità con la quale si riesce a maneggiarla. Dove l’avesse trovata, o da chi potesse averla acquistata, resta uno dei tanti misteri che il 16enne dovrà adesso chiarire agli inquirenti. E chissà se, nelle ore che seguiranno in regime detentivo, questo adolescente ripenserà a quel passato vissuto male, pericolosamente, a commettere rapine per le strade della città senza regole e senza più sicurezza; al male che ha commesso strappando i Rolex dai polsi dei turisti e dei benestanti che guardava con odio, sì, ma anche (e soprattutto) come il falco fa puntando dall’alto le sue prede, prima di azzannarle. 

 

Di sicuro gli tornerà in mente quando, un paio di anni fa, ancora 14enne, tentò di uccidere un altro ragazzino.

Un precedente grave, che peserà adesso anche sui convincimenti dei magistrati inquirenti e che non potrà non essere tenuto in conto da chi sarà chiamato a giudicarlo. Se la cavò, in quell’occasione, per l’età che gli consentiva la scappatoia della non punibilità. Ma questa volta le cose non andranno allo stesso modo. La figura di questo ennesimo giovanissimo figlio di una Malanapoli che continua a seminare sangue, terrore e lutti non è poi così diversa - a ben guardare - da quella dei tanti altri ragazzi a rischio della città e del suo hinterland. Una storia già vista, un “deja vu” tristissimo e ricorrente. Vissuto in una famiglia nella quale l’assenza del padre pregiudicato (ma a quanto pare estraneo a contesti di camorra), spesso in galera per reati contro il patrimonio, deve aver contato in maniera determinante, ha iniziato a calcare la scena microcriminale, ovviamente abbandonando prematuramente la scuola. Cattive compagnie ed esempi malvagi hanno finito per fare il resto, compromettendo per sempre quella formazione che diventa poi maestra di vita, nel bene ma soprattutto nel male.

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Mentre faceva il bullo con i coetanei, e poi iniziava a scoprire l’adrenalina delle rapine e delle armi da sparo, questo 16enne forse nemmeno si rendeva conto dei rischi che faceva correre agli altri, prima che a se stesso. Storia triste che richiama inevitabilmente alla mente i casi di altre vite bruciate sulle strade di questa città. Quando ieri mattina lo hanno condotto in Questura, negli uffici della Squadra Mobile guidata da Alfredo Fabbrocini, lui appariva stranito, quasi distaccato, come se ancora non si fosse reso conto di ciò che aveva fatto e di quello che gli sarebbe toccato. Con gli stessi vestiti indossati poche ore prima, mentre toglieva la vita a un innocente, con la pesante catena in falso oro al collo, alla fine ha ammesso le proprie responsabilità. «E adesso che succede? Dove mi portate?», ha chiesto alla fine dell’interrogatorio. 

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