Padre Antonio Loffredo e il modello rione Sanità: «Sarà difficile esportarlo»

Padre Antonio Loffredo e il modello rione Sanità: «Sarà difficile esportarlo»
di Giuliana Covella
Domenica 27 Marzo 2022, 12:00 - Ultimo agg. 28 Marzo, 08:16
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«Come ho fatto a mettere sempre d'accordo tutti, da Mattarella, a Renzi, a Conte? Forse perché sono un uomo del fare e non sono figlio di nessuna ideologia». Dal 2001 alla Sanità, padre Antonio Loffredo, appena insignito della laurea magistrale honoris causa in Economia e management all'Università del Sannio («non è un mio riconoscimento, ma del quartiere», tiene a precisare), si prepara ad accogliere insieme ai giovani della cooperativa La Paranza il premier Mario Draghi, che martedì farà visita al rione. «Ha fatto sapere di voler incontrare i 15 profughi ucraini che abbiamo accolto - annuncia il parroco - mostrando di essere ancora una volta una comunità che accoglie un'altra comunità». 

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Lei è il simbolo della rinascita di un territorio che, col modello Sanità, si sta cercando di estendere in altri quartieri. Com'è nato questo modello che dura da 20 anni?
«Alla Sanità i giovani hanno capito che un progetto di sviluppo può partire solo dal basso e dalla comunità, articolando in modo nuovo le relazioni tra mercato, Stato e terzo settore.

Se non c'è comunità è impossibile rigenerare gli spazi trasformandoli in luoghi. Oggi al Rione Sanità, grazie all'uso generativo dei beni storico-artistici, alcuni giovani lavorano in piccole cooperative con positive ricadute sul tessuto commerciale. In questi anni abbiamo imparato che bisogna schierarsi, come ci ricorda sempre il nostro vescovo, dire da che parte stare e noi abbiamo scelto di stare dalla parte della bellezza e degli umiliati, convinti che si lavora con le pietre di scarto per costruire l'edificio».

Il modello Sanità è unanimemente ritenuto qualcosa di magico. Qual è il segreto?
«Sorridiamo fieri quando qualcuno ci chiede di spiegare il segreto di questo successo. Dialogo, forse, tra territorio e abitanti, sussidiarietà e prossimità. Amore per la propria terra e volontà di impegnarsi in prima persona senza delegare qualcun altro. Ma anche la convinzione che il patrimonio culturale deve diventare parte integrante della sfida di un cambiamento e la certezza che senza investire al contempo nel sociale e nella cultura non si potranno perseguire obiettivi di sviluppo».

Perché tuttavia non riesce ad attecchire in quartieri come Forcella, dove tutto è partito con la Casa di Vetro, poi a Scampìa dove si vorrebbe riprodurre e anche altrove?
«Se oggi il Rione Sanità si conosce non solo per la cronaca, se oggi si avverte nella comunità locale un'effervescente vitalità e una concreta possibilità di crescita e riscatto, è grazie a un cammino lungo e faticoso. Ci vogliono tempi lunghi e investimenti costanti per iniziare a ottenere frutti. Soprattutto non bisogna avere paura del futuro».

Martedì anche il premier Draghi verrà alla Sanità a conoscere quest'esperienza. Cosa gli mostrerete?
«Gli mostreremo ciò che siamo e gli chiederemo di privilegiare maggiormente nella conservazione come nell'utilizzo del patrimonio culturale le soluzioni e le forme che meglio ne garantiscano, oltre alla protezione, una vitalità concreta. Vorremmo mostrargli come il patrimonio culturale sia una risorsa decisiva per lo sviluppo locale. Com'è accaduto alla Sanità, ancor prima dei visitatori, in un progetto di restituzione di un bene sottratto da anni alla fruizione la variabile critica è incarnata dalle persone che abitano attorno a quel bene, che percepiscono e vivono quel patrimonio come proprio. Non tenerne conto, come troppo spesso accade nel nostro Paese, considerando la cultura e il capitale culturale il privilegio di una minoranza, è un errore. Anzi in questi casi occorre che quel patrimonio si trasformi in leva di sviluppo, riscatto sociale e rigenerazione urbana. Oggi al Rione Sanità il patrimonio culturale ecclesiastico abbandonato è stato messo in gioco dalla comunità cristiana, ma esiste un patrimonio culturale nella disponibilità del pubblico che ancora attende di essere rivalutato».

Lascerà in futuro la Sanità?
«Sicuramente sì, sono già in ritardo. Chiunque vive un ministero, un servizio è per definizione un pro tempore, sa che deve aggiungere, secondo il suo carisma, il suo contributo laddove è chiamato a servire. Il momento di lasciare, soprattutto per un prete, è il più bello perché ricorda a se stesso e agli altri che un giorno ha scelto di seguire Gesù povero e libero. Vorrei morire come ho vissuto: libero da me stesso, libero dagli altri, senza mai possederli né strumentalizzarli per continuare a rimanere nelle mani dell'unico potente, Dio». 

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