Napoli, i bambini-soldato dei clan armati di mitragliette e kalashnikov

Dati choc dal dossier della Federico II, la procuratrice De Luzenberger: «Fenomeno in crescita ma poche denunce»

La presentazione del libro “Ragazzi che sparano”
La presentazione del libro “Ragazzi che sparano”
di Giuseppe Crimaldi
Giovedì 15 Giugno 2023, 00:00 - Ultimo agg. 16 Giugno, 09:17
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Sempre più minori escono di casa armati e sono pronti ad usare le armi. Ma se finora erano i coltelli e i tirapugni a preoccupare, oggi la linea di trincea si è spostata sulle armi da fuoco: pistole, mitragliatrici e kalashnikov. Lo spunto per tornare su uno degli argomenti più dolorosi e preoccupanti per Napoli è la presentazione del libro “Ragazzi che sparano” (con introduzione dirmata dall’ex prefetto Marco Valentini), un viaggio attualissimo nella devianza giovanile curato dai professori Giacomo Di Gennaro della Federico II e Maria Luisa Iavarone della Parthenope, presentato nella Biblioteca De Marsico di Castel Capuano.

Da dove nasce questa violenza? E perché? «Oggi - spiega la procuratrice per i minori di Napoli, Maria de Luzenberger - a fare paura non sono più solo i coltelli e le pistole con le matricole abrase: circolano con sempre maggiore frequenza vere e proprie armi da guerra provenienti dal mercato illecito dell’Est Europa, e temo che quando la guerra in Ucraina sarà finalmente finita saremo inondati da materiale bellico di ultima generazione. I giovani, abilissimi a navigare su internet, sanno come muoversi anche nel “dark web”, dove si trova di tutto».

Anche il quadro criminale minorile sta rapidamente cambiando, e le indagini della Procura minorile sono la più precisa cartina di tornasole dalla quale emerge un disagio profondo, che soprattutto quando viene associato a deficit culturali, abbandono degli studi e profonde carenze familiari degenerano facilmente in violenza. «Sui cellulari che sequestriamo ai minori coinvolti in delitti - prosegue de Luzenberger - troviamo scene di violenze atroci, alcune delle quali addirittura riconducibili alle mattanze commesse dagli jihadisti negli anni passati.

E ricordo lo choccante racconto che una preside di scuola elementare mi ha fatto di recente: alcuni suoi scolari in aula furono scoperti mentre mimavano lo sgozzamento di un uomo».

A fronte di questo continuo allarme, la Procura minorile di Napoli resta tra i fanalini di coda in termini di denunce raccolte, a fronte dell’altissimo tasso di reati commessi da giovanissimi. «C’è ancora troppa omertà - conclude la procuratrice - ma noi ce la stiamo mettendo tutta. Servirebbe una riforma della scuola, e bisognerebbe selezionare meglio anche le strutture e le comunità alle quali i minori vengono affidati». A proposito di comunità: ad oggi, in tutto il distretto di competenza della Procura dei minori di Napoli, sono 2100 (inclusi gli stranieri non accompagnati) gli under 18 allontanati dalle famiglie e trasferiti nei centri di assistenza.

Al tavolo dei relatori, stimolati dalle domande del giornalista del Tgr Campania, Enzo Perone, anche il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Napoli, Luigi Riello, Clelia Iasevoli, ordinaria di diritto processuale penale all’Università degli Studi di Napoli Federico II, l’attrice Cristina Donadio e i due docenti-autori.

Per Riello «sulla questione giovanile è tempo di abbandonare i luoghi comuni e la retorica: servono altissime professionalità educative da mettere in campo, e i fondi necessari a finanziare questa operazione si devono trovare, come li si trova in occasione delle calamità naturali». E se la professoressa Iasevoli difende l’istituto della messa in prova per i minori, sottolineando come «sempre più minori coinvolti in azioni delittuose sono affetti da una “disabilità sociale”, è la stessa Iavarone a tracciare quella che forse resta al momento l’unica ragionevole via d’uscita: «Oggi più che mai serve un grande protocollo riabilitativo destinato alle generazioni che ancora si possono salvare. E questo lavoro deve essere affidato a personale serio, formato e qualificato».

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Per Di Gennaro «l’affidamento in prova ai minori non ha dato i risultati sperati, come dimostrano i dati statistici sulle recidive. Dunque il legislatore ora dia ascolto alla ricerca universitaria , perché in gioco c’è una battaglia importantissima che riguarda migliaia e migliaia di giovani. Perdere quest’ultima battaglia - conclude - sarebbe una sconfitta per tutti».

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