«Dicci, dove sta ‘o Saracino? Dove sta, dove si nasconde?». Per gli uomini del clan Di Lauro stanare “’o Saracino” - al secolo Gennaro Notturno, elemento di spicco degli Scissionisti, e quindi considerato un traditore - dal rifugio nel quale si nascondeva era diventata un’ossessione. Notturno doveva morire: a emettere la sentenza capitale, nei giorni della furiosa guerra che insanguinava Secondigliano, Scampia e i Comuni dell’hinterland a nord di Napoli durante la prima faida del 2004, erano stati gli stessi figli di Paolo Di Lauro. Ma Notturno era introvabile: e per questo il clan decise di sequestrare una ragazza che lo conosceva, per obbligarla a rivelare il covo del nemico. Lei, la povera Gelsomina Verde (una ragazza solare, operaia incensurata ed estranea a vicende criminali), in realtà nulla sapeva degli spostamenti dell’uomo: e dopo essere stata sottoposta a minacce e a un interrogatorio serrato, venne assassinata brutalmente, con due colpi di pistola. I killer, subito dopo, ne diedero il corpo alle fiamme.
Su questo che resta uno dei più agghiaccianti delitti commessi dalla camorra negli ultimi anni, ieri - 19 anni dopo - si è chiuso il cerchio con l’arresto di due dei presunti sicari: Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, detto «’o Vichingo», gravemente indiziati dell’omicidio con l’aggravante della premeditazione e del metodo mafioso in quanto commesso allo scopo di avvantaggiare il clan Di Lauro. Arresti eseguiti dalla Polizia di Stato, su delega della Dda di Napoli, in esecuzione di un’ordinanza di custodia in carcere emessa dal gip Marco Giordano. Per lo stesso omicidio sono stati già condannati Pietro Esposito, che aveva condotto la giovane all’appuntamento con i suoi assassini, e Ugo De Lucia, ideatore e partecipe all’esecuzione materiale dell’agguato in qualità di responsabile di uno dei gruppi di fuoco attivi durante la faida per conto dei Di Lauro. Le indagini della Squadra Mobile di Napoli sono state riavviate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli nel 2020 grazie alle dichiarazioni rese da tre collaboratori di giustizia: Salvatore Tamburrino, Pasquale Riccio, e lo stesso Gennaro Notturno.
Sarà in particolare Tamburrino - l’uomo che dopo aver ucciso la moglie Nora Matuozzo decise di collaborare con la giustizia, fornendo le informazioni chiave, determinanti per la cattura del boss Marco Di Lauro - a rivelare lo scenario da brividi nel quale maturò il sacrificio di Gelsomina. «Una sera - racconta il pentito - a casa di Cosimo Di Lauro venne Ugo De Lucia, ed erano presenti oltre a Cosimo anche Marco Di Lauro, il fratello Ciro e Giovanni Cortese. De Lucia fece il nome di Gelsomina Verde, in quanto conosceva Gennaro Notturno, scissionista.
Commenta Alfredo Fabbrocini, capo della Squadra Mobile di Napoli, che ha diretto le ultime indagini: «Per l’omicidio di una ragazza di 22 anni è responsabile l’intero gruppo criminale (il clan Di Lauro, ndr): penalmente ci saranno sicuramente altre posizioni da definire, ma moralmente sono tutti colpevoli». Fabbrocini ha spiegato che «non sono ancora chiari i singoli comportamenti di ogni persona, e su questo continueremo a lavorare, cercheremo di far luce anche su questo. Fondamentale per la ricostruzione dell’accaduto è stato il ruolo dei collaboratori di giustizia. Le loro dichiarazioni sono state univoche, concordanti e ci hanno permesso di individuare i due soggetti arrestati».