Il Commissario Ricciardi stasera in tv, Maurizio De Giovanni: «Lo scrissi per non dire no»

Una scena de La condanna del sangue, secondo episodio de Il commissario Ricciardi
Una scena de La condanna del sangue, secondo episodio de Il commissario Ricciardi
di Gennaro Morra
Lunedì 1 Febbraio 2021, 18:48
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Stasera alle 21.25 su Rai 1 andrà in onda la seconda puntata de Il Commissario Riccardi, la fiction tv tratta dai romanzi di Maurizio de Giovanni. E dopo il boom di ascolti fatto registrare lunedì scorso, è facile immaginare che siano tanti i telespettatori in trepidante attesa per assistere a una nuova indagine del tenebroso poliziotto uscito dalla penna dello scrittore napoletano. Eppure, come racconta lo stesso de Giovanni, questo e tutti gli altri episodi successivi non sarebbero esistiti se l’autore avesse avuto il pudore di ammettere, a chi glielo aveva chiesto, che non aveva un’altra storia nel cassetto pronta per essere pubblicata. E che quel primo romanzo giallo ambientato in una Napoli degli anni 30, il suo esordio letterario, era nato un po’ per gioco e non aveva nessuna intenzione di mettersi a scriverne un altro.

E invece il giallista partenopeo al suo interlocutore non ebbe il coraggio di dire come stavano le cose: «Avevo scritto un solo romanzo, Il senso del dolore, e lo avevo scritto per caso, sulla base di una richiesta di un'agente letteraria che aveva letto il famoso racconto vincitore del concorso su L'Europeo – scrive de Giovanni in un post sul suo profilo Facebook –. Lo avevo scritto in vacanza, in quindici giorni, con la mia meravigliosa mamma che mi raccontava di quel tempo, unica fonte storica a mia disposizione. Il romanzo era stato pubblicato da una piccola casa editrice, Graus di Napoli, ed era andato benissimo (proporzionalmente, ovvio). Una copia era stata letta da Francesco Pinto, direttore (all’epoca, ndr) del centro di produzione Rai di Napoli, al quale, manco a dirlo, devo tutto questo casino».

Infatti, l’ex dirigente della televisione pubblica italiana rimase molto colpito da quell’opera prima: «Be', Francesco mi chiama e mi dice: “bello, 'sto romanzo. Voglio farlo leggere a un mio amico, editore importante: ma è edito, quindi non penso che lo pubblicherà. Tu avrai certamente il seguito, no?”». E se Pinto non avesse fatto quella telefonata, oggi probabilmente non avremmo uno degli scrittori italiani più letti: «Io naturalmente non avevo alcun seguito, né mai avrei pensato di scrivere ancora, alla mia età. Lo sfizio di pubblicare me l'ero tolto, avevo comprato tot copie per gli amici e i parenti, bastava così. Ma Pinto era stato così perentorio che non ebbi il coraggio di dirgli di no».

Ed è così che nasce la seconda indagine condotta da Luigi Alfredo Ricciardi: «Siccome Il senso del dolore, che all'epoca si chiamava Le lacrime del pagliaccio (titolo che è ancora secondo me migliore, ma lo penso solo io), aveva ricevuto molti complimenti per l'ambientazione invernale, decisi di ambientare questo successivo in primavera – spiega l’autore nel suo post –. Non avevo una storia, non avevo fonti, non avevo niente. Mi misi al portatile, a casa di mia madre, e immaginai una bella gentile primavera che danzando per le strade perfidamente illudeva che tutto fosse bello, che tutto andasse bene».

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Invece, un po’ come oggi, non era poi tutto così bello e non andava tutto bene. Ma probabilmente nel buttare giù quella storia Maurizio de Giovanni realizzò di essere uno scrittore vero: «Fu la prima volta che sperimentai la magia – scrive ancora –. Quell'incredibile chimica che fa muovere i personaggi nel loro ambiente per conto loro, secondo quello che gli dai da fare e secondo le caratteristiche che gli imponi ma in maniera assolutamente indipendente da te. La primavera immaginaria mi raccontò una storia incredibile, con dei personaggi meravigliosi che io riuscii a rendere, secondo me, per non oltre il trenta per cento dell'intensità e dello spessore che avevo in testa, e nel cuore». E conclude con una rivelazione: «"Il secondo appuntamento col commissario Ricciardi", per voi. Per me resterà per sempre La condanna del sangue. Una delle storie più belle che Ricciardi mi abbia mai raccontato».

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