«Inno borbonico di Paisiello? No, è del barone Pisani»

Capodimonte mostra "Napoli Napoli"
Capodimonte mostra "Napoli Napoli"
Sabato 3 Ottobre 2020, 18:06 - Ultimo agg. 20:10
4 Minuti di Lettura

“Né Cimarosa né Paisiello, l'inno borbonico è in realtà del barone Pietro Pisani,”. Alessandro De Simone, nipote del maestro Roberto De Simone, docente al San Pietro a Majella non ci sta. E risponde così alla polemica innescata delle associazioni neoborboniche sull'attribuzione dell'Inno Borbonico nella didascalia della mostra "Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica" allestita al Museo e Real Bosco di Capodimonte. La mostra, realizzata in collaborazione con il Teatro di San Carlo, sarà visitabile fino al 6 aprile 2021. E, insieme a ricchi cimeli, racconta la Napoli del Settecento anche attraverso la musica. Ogni sala ha un suo riscontro in note, da ascoltare o con cuffiette monouso o sul proprio cellulare scaricando l'apposita app. E, tra i brani non manca l'inno borbonico scelto da De Simone, consulente musicale della mostra. Inno che, dai suoi studi, riusulta attribuito al nobile siciliano, personaggio oggi quasi dimenticato, erudito, filantropo, famoso soprattutto per aver fondato la prima casa di cura mentale d'Europa con il nome di Real Casa dei Matti, fondatore e direttore del Conservatorio di Musica Vincenzo Bellini di Palermo, borbonico e benefattore tra i più illustri del Regno, Ufficiale della Real Segreteria di Stato, segretario del Luogotenente Generale, grande appassionato di musica e compositore. “Tante le fonti che riportano a Pisani”, spiega De Simone, a partire da una partitura conservata nella biblioteca del conservatorio di Napoli. “Si tratta di una edizione a stampa calcografica della fine del Settecento; la copertina con frontespizio inciso dal Poggiali è coeva alla partitura e non a questa successiva, essendo entrambe stampate sulla medesima carta imperiale di pregiata finitura; il nome dell'autore è menzionato espressamente: “musica del dilettante (sic) Barone Pisani” e non è aggiunto a penna, come quello del possessore della partitura Palazzolo, ma apposto dall'editore stesso nell'intestazione di copertina”. “Il dato che emerge dalla partitura calcografica, recante sul frontespizio il nome del Barone Pisani quale autore dell'inno borbonico – insiste lo studioso - combacia perfettamente con diverse fonti bibliografiche a partire da “Biografie di Illustri Siciliani” del 1838 di Antonino Linares. Ma a togliere definitivamente ogni dubbio in merito è un elenco di opere a stampa e manoscritte provenienti dall'archivio storico del Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo, riprodotto in un volume dell'Archivio Storico Siciliano pubblicato nel 1971, in cui compare la partitura de “L'inno Borbonico di Pietro Pisani per soprani (sic) e orchestra”. Inoltre nell'opera “Uomini Illustri di tutti i tempi e di tutte le nazioni” curata da Luigi Jaccarino nel 1840, si specifica che l'inno borbonico fu composto dal Barone Pisani dopo l'esilio alla Ficuzza, quindi, presumibilmente, con un preciso intento politico, vòlto a ribadire l'indiscusso potere dei Borbone dopo i tragici eventi della rivoluzione del 1799. Inoltre da me è stata ritrovata una partitura manoscritta anonima per orchestra della prima metà dell'Ottocento – sempre posseduta dal Conservatorio di musica di Napoli - che reca il titolo di Inno Nazionale, cui è stato aggiunto successivamente l'esplicativo Borbonico, la cui musica, sebbene diversa per strumentazione e tonalità, è la medesima dell’inno composto dal Barone Pisani. Questo ci dice che fin dagli ultimi anni del Settecento, per tutta la durata del regno borbonico, fu adottato un solo Inno Nazionale". Invece, spiega, "le fonti prodotte a sostegno dell’attribuzione a Paisiello si riducono fondamentalmente ad una, in quanto la citazione relativa a Pietro Ulloa è scorretta poiché in essa si accenna unicamente all’ inno Borbonico e non all’inno di Paisiello.

Che mai nessuno avesse attribuito l’inno a Paisiello è lo stesso Francesco Florimo a riferirlo, il quale, forte di una lunga tradizione – “la tradizione orale, ora in bocca a tutti” – riteneva che l’autore fosse Cimarosa e non certo Paisiello”. Sulla vicenda De Simone ha pubblicato un saggio nel 2016 edito dal San Pietro a Majella, “Splendori della scuola napoletana, Giovanni Paisiello tra il regno di Napoli e le corti d'Europa” dal titolo: “Inni che passione. La controversa questione degli inni di Cimarosa e Paisiello tra Rivoluzione e Restaurazione”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA