Crisantemi e insulti, Maria Elena nel mirino ma lei contrattacca

Crisantemi e insulti, Maria Elena nel mirino ma lei contrattacca
Mercoledì 29 Aprile 2015, 03:04
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Mario Ajello
ROMA. Lo chiamano il «funerale della democrazia». E allora, piovono dentro l'aula di Montecitorio i crisantemi. Sono targati Sel e vengono applauditi dai berlusconiani. I grillini vorrebbero intonare un requiem ma non sanno come si fa. Umberto Bossi alliscia il winchester che non ha e chiama il Parlamento no-Renzi alla resistenza: «Contro questa legge fascista o si usano i fucili o si va sull'Aventino». O si grida, prima durante e dopo la pioggia di crisantemi vendoliani - mentre Maria Elena Boschi con addosso una specie di pigiamino bianco a pallini neri gioca con un suo anello sul tavolo del governo - contro la ministra che ha annunciato la questione di fiducia: «Servaaaaa». Agli occhi di quelli dell'opposizione, se Renzi è il duce, lei è la gerarca numero uno. E la due? Eccola qui e chi l'avrebbe mai detto, essendo a sua volta - fino a ieri - una eroina del politicamente corretto «de sinistra». Ma l'Italicum sconvolge tutto e quando Laura Boldrini dice all'aula in subbuglio che la questione di fiducia è ammissibile, i grillini e i berluscones (alcuni dei quali sotto sotto hanno votato a favore del governo) le gridano così: «Venduta», «complice», «collusa». E lei rintuzza le grida: «Continuate pure a insultare perché non sapete argomentare». Si è fatta renzista anche lei, che pure non è nelle grazie dei renziani? Anche i deputati vendolisti come lei le urlano contro. Lei rimprovera, richiama tutti all'ordine, cerca di governare l'ingovernabilità. Mentre tutti, intorno a lei e alla Boschi e al democrat Rosato che funge di fatto da capogruppo del renzismo al posto dello scismatico Speranza, non fanno che gridare «fascista» al premier che non c'è e a paragonare la sua legge alla legge Acerbo, il suo esecutivo quasi appena nato al ventennio mussoliniano e «i partigiani dove sono?», chiede ai colleghi un pentastellato. Mentre la Russa si agita («Magari Renzi fosse come il duce, io lo voterei per vent'anni di seguito e anche di più»), la Boschi diventa la Petacci secondo i più facinorosi e il sellerino (cioè di Sel) Sannicandro sale in cattedra da storiografo come fosse Renzo De Felice ma non revisionista: «Questa legge mostra la continuità tra lo Stato repubblicano e il nuovo Stato fascista». Poteva mancare Brunetta in tanta indignazione da storia drammatica (quella finita nel '45) ridotta a fumetto (quello del fascismo attualizzato a renzismo)? «Renzi vuole ridurre questa aula a bivacco per i suoi manipoli. Noi non consentiremo il nuovo fascismo»!
Si sprecano dunque i paragoni e anche notazioni così colpevoliste nella sinistra dem: «Avete fatto caso Renzi non ha mai usato la parola fascismo o fascista o Mussolini o regime nelle celebrazioni del 25 aprile»? Ma in questo gusto retrospettivo e nella bolgia di giornata, manca il paragone forse più adatto. Così come era al minimo la credibilità e la decenza del Parlamento improduttivo prima dell'avvento del fascismo, anche adesso la sua immagine è talmente screditata agli occhi degli italiani che Renzi - naturalmente in maniera democratica - può farne ciò che vuole, probabilmente tra gli applausi o nel disinteresse da parte dei cittadini. Specie su un tema come l'Italicum, non in cima alle preoccupazioni degli elettori e tantomeno dei non elettori che sono sempre di più.
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