“Pre-giudicato”, il teatro tra le sbarre a Secondigliano

Lo spettacolo messo in scena dalla compagnia “Le voci di dentro”, composta da detenuti rinchiusi nel carcere di Secondigliano

“Pre-giudicato”, il teatro tra le sbarre a Secondigliano
“Pre-giudicato”, il teatro tra le sbarre a Secondigliano
di Giuliana Caso *
Venerdì 21 Luglio 2023, 10:00
4 Minuti di Lettura

Marco ha portato in scena la storia di Marco.

Ma anche quella di Salvatore, di Fiore, di Raffaele, di Antonio e di tutti gli altri. Una piccola storia ignobile, avrebbe cantato qualcuno. Così solita e comune come tante, avrebbe poi continuato. Comune e solita, però, relativamente alla popolazione carceraria, a quelle migliaia di persone che dopo uno o più passi falsi tornano nel mondo ‘fuori’ e vorrebbero riprendere le redini delle proprie esistenze e, in molti casi, lasciare i binari che li hanno portati a deragliare.

Marco, sulle tavole del palcoscenico del carcere “Pasquale Mandato” di Secondigliano, ci ha raccontato che non è così facile.

La storia è quella raccontata da uno spettacolo teatrale dal titolo quanto mai esplicativo: “Pre-giudicato, un’Odissea sociale”, recitato in maniera estremamente realistica dalla compagnia “Le voci di dentro”, composta da detenuti rinchiusi nel carcere di Secondigliano. Il testo ha visto la luce da tempo, ma la sua messa in scena è stata bloccata dall’emergenza covid. Finalmente, martedì 13 e mercoledì 14 giugno scorsi, ha potuto essere rappresentata. La prima data, davanti a un pubblico di magistrati e autorità, la seconda riservata alle famiglie e ai volontari che prestano la propria opera nel carcere, come noi della Fondazione Polis.

Come quasi tutto quello che prende vita entro le mura del centro penitenziario, lo spettacolo ha toccato le corde emotive di tutti, grazie all’impegno dei detenuti e a quello dei volontari che con loro hanno realizzato questo progetto teatrale. Il regista Luca, e poi Monica, Francesco, Julia, Guido, Antonio.

Questa, la storia: Marco, il protagonista, esce dal carcere dopo aver scontato una pena di dieci anni; è ancora giovane, è determinato a cambiare vita, torna nella sua famiglia perbene, vuole un lavoro onesto.

Ma tra lui e la speranza della vita che ha sognato si frappongono tanti ostacoli; il suo viaggio verso il cambiamento, quindi, diventa un’Odissea. E il testo portato in scena da “Le voci di dentro” inframmezza alle vicende della vita di Marco brani dall’opera di Omero, elevando i tentativi del giovane ex detenuto a costruirsi una vita oltre il carcere e la pena scontata a gesta epiche, come quelle che Ulisse dovette affrontare per tornare a Itaca.

A contrastare Marco non sono maghe, sirene o ciclopi, ma i pregiudizi che gli negano un lavoro, e i protervi guaglioni del ‘sistema’, che prima lo reclamano tra le loro fila, e poi lo colpiscono proprio laddove stava ricominciando la sua vita ‘dopo’.

Marco è “Pre-giudicato”, e come tale rifiutato dal contesto sociale esterno.

Avvertito come un corpo estraneo, come un nocivo fastidio, come un rifiuto che dovrebbe nascondersi, o tornare da dove è venuto. Ed è così che Marco dopo le tante porte sbattute in faccia percepisce se stesso, cede, molla, ascolta il canto delle sirene dei suoi ex sodali del ‘sistema’. È un attimo, un momento in cui rischia di vanificare il cammino intrapreso in carcere, il cambiamento che è avvenuto in lui. A salvarlo è la forza di un amore nuovo, una donna che gli mostra che un’altra vita è possibile. E Marco si rialza, rimodula la sua esistenza e diventa un paladino della legalità.

Questa storia, incarnata da chi queste vicende le vive e le vivrà sulla propria pelle, assume una forza e un significato che vanno al di là della mera narrazione. È la forza di una testimonianza, di una strada da tanti percorsa. È la storia di chi, lasciatosi alle spalle il cancello del carcere, vorrebbe tapparsi le orecchie per non ascoltare sirene sbagliate.

Di chi, da Pre-giudicato, sconterà per sempre gli errori del passato.

La storia di Marco diventa quindi la storia di Salvatore, di Fiore, di Raffaele, di Antonio e di tutti i ‘rinchiusi’ che, fuori, combattono con le scorie del proprio vissuto, con i pregiudizi e con il marchio che li condanna, sempre.

Nel migliore dei mondi possibili chi esce dal carcere cambiato dovrebbe poter dare corpo e sostanza al cambiamento, dare senso agli anni passati tra le sbarre. Ma questo che viviamo, si sa, di certo non è quello che secondo Leibniz bilanciava in maniera equa il bene e il male; qualcosa, durante i secoli, è andato storto, e a molti tocca vivere la propria personale, dolorosa, Odissea.

* Giornalista, referente della Fondazione Polis per il progetto Parole in Libertà all’interno dell’Istituto “Pasquale Mandato” di Secondigliano

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