Asili nido, la disponibilità cresce al 28% solo perché diminuiscono i bambini

L'obiettivo del 45% (entro il 2030) è già ampiamente superato in alcune città capoluogo del Nord e della Sardegna

Asili nido
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Marco Espositodi Marco Esposito
Mercoledì 17 Gennaio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 18 Gennaio, 07:27
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L'obiettivo di copertura al 33% per gli asili nido è vicino: siamo al 28%. Lo rileva l'ultima analisi di Openpolis realizzata su dati Istat in collaborazione con la Fondazione con il Sud (Conibambini). È una buona notizia ma che, come spesso accade, ne nasconde ben tre negative.

La prima è sui tempi: il target definito nel 2002 dall'Unione europea del 33% di posti disponibili rispetto alla popolazione con meno di tre anni andava raggiunto entro il 2010, pertanto siamo comunque in ritardo. Anzi l'obiettivo comunitario nel frattempo (a fine 2022) è stato alzato al 45%, da raggiungere entro il 2030.

La seconda è sul come: non sono i posti nei nidi ad aumentare ma i bambini a diminuire. Quindi la disponibilità dei servizi è aumentata per il calo della natalità: il 28% di copertura se nascessero mezzo milione di bambini l'anno invece che appena 400mila varrebbe appena il 22%.

Considerato l'obiettivo della ripresa della natalità, da sostenere anche grazie alla rete di servizi per l'infanzia, i dati certificano che si sta viaggiando in direzione sbagliata.

La terza e ultima notizia negativa nel 28% è sul riparto territoriale perché restano i fortissimi divari tra Nord e Sud, nonché tra aree interne e capoluoghi. Il 28% è una media che nasconde drammatiche disparità e ciò nonostante dal primo gennaio 2022 la percentuale di copertura sia un Lep, cioè un livello essenziale delle prestazioni da garantire in misura omogenea sul territorio nazionale vale a dire, per un servizio di prossimità come il nido, in ciascun comune. Tuttavia l'obbligo di legge non è bastato, nonostante fosse accompagnato dall'incremento dei fondi a disposizione dei Comuni, visto che il 61% dei municipi che ha ricevuto fondi extra ha mancato l'obiettivo nel primo anno di applicazione, secondo un'analisi dell'Ufficio parlamentare di bilancio.

L'obiettivo del 45% (entro il 2030) è già ampiamente superato secondo Openpolis in alcune città capoluogo del Centronord e della Sardegna: si tratta di Nuoro (73,8 ogni 100 residenti sotto i 3 anni), Ferrara (62,7), Siena (58,9), Sassari (58,3), Forlì (56,7), Firenze (53,7), Trento (51,2), Lecco (51), Rovigo (50,8), Bergamo (50,8) e Padova (50,3). Entro un punto da quota 50% anche Bologna, Roma, Pisa e Udine. Agli ultimi posti spiccano diverse grandi città del Mezzogiorno. Nel 2021 non raggiungono i 10 posti disponibili ogni 100 residenti con meno di 3 anni i comuni capoluogo di Barletta (8,6), Catania (8,4) e Messina (7,3). Poco sopra questa soglia anche capoluoghi come Napoli, Caserta, Trani, Palermo, Isernia, Andria e Ragusa. Tutti con percentuali comprese tra 10 e 15%. In pratica tra i due estremi di Nuoro e Messina c'è un divario di servizi di dieci volte.

Se si allarga l'analisi alle Province, sono tre in Italia sono già oltre il 45% (tra offerta pubblica e privata), tutte dell'Emilia Romagna: Ravenna (48,9 posti ogni 100 bambini), Bologna (48) e Ferrara (47,5). 

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A livello di Regione, nessuna raggiunge il 45% sebbene l'Umbria con il 43,7% sia molto vicina all'obiettivo aggiornato europeo. All'estremo opposto della scala, ovvero con il servizio peggiore nella media regionale, c'è la Campania. Del resto con l'eccezione della Sardegna, nessuna regione del Mezzogiorno si trova al di sopra della media nazionale (28%). Tre si attestano al di sotto dei 15 posti ogni 100 bambini: Calabria (14,6), Sicilia (13) e appunto la Campania (11,7).

Il fatto che la quota di asili nido sia un Lep, cioè un livello definito per legge, fa della rete di nidi un servizio diverso rispetto a prestazioni mai definite in modo puntuale, come il trasporto pubblico locale. La Costituzione è chiara: i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» una volta definiti «devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Per cui percentuali del 44% in una regione e dell'11% in un'altra rispetto al Lep del 33% sono costituzionalmente inaccettabili. 

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