Ammalarsi al Sud e curarsi al Nord. Dopo la pausa del 2020, quando la pandemia da Coronavirus ha bloccato gli italiani in casa, è ripreso il flusso della migrazione sanitaria. Fatta di malati, sofferenze, speranze, ma che porta con sé anche un fiume di denaro tornato al di sopra dei 4 miliardi di euro e che in larga parte dalle casse delle regioni meridionali (tutte in passivo tranne il Molise) va verso il Nord e in particolare a beneficio di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Posti dove la presa in cura degli ammalati meridionali, compreso l'indotto per trasferimenti, alloggi, ristorazione, è una vera e propria industria.
Il report di Gimbe, che analizza i flussi per la migrazione sanitaria del 2021, arriva in un giorno scelto di proposito per farlo coincidere con l'avvio nell'aula del Senato del disegno di legge sull'autonomia differenziata, la quale tra le 23 materie coinvolte comprende la sanità, peraltro già in larga parte affidata alle Regioni con gli effetti sui territori evidenziati proprio dai saldi sulle cure effettuate in regioni diverse da quella di residenza.
La mobilità sanitaria del 2021 vale in tutto 4,25 miliardi, in netto rialzo rispetto ai 3,33 miliardi del 2020 ma sotto il picco di 4,6 miliardi del triennio 2016-17-18.
La Campania, entrando nel dettaglio, ha una mobilità sanitaria in ingresso (frutto cioè degli arrivi di pazienti per comodità geografica, per presenza occasionale o perché cercano strutture eccellenti) che nel 2021 ha portato nelle casse regionali oltre 170 milioni di euro pari al 4,4% del totale della mobilità. Si può stimare che una somma equivalente sia necessaria per curare i residenti campani che per analoghe motivazioni si facciano curare in altre regioni. È quindi il saldo complessivo, se diverso da zero, che evidenzia la debolezza della rete sanitaria pubblica in Campania e in molte altre regioni meridionali. Infatti i maggiori deficit sono, secondo i conteggi di Gimbe su fonti pubbliche, quelli di Calabria (-252 milioni), Campania (-221 milioni) e Sicilia (-177 milioni). Mentre a beneficiare delle entrate più rilevanti sono Emilia Romagna, con un saldo positivo di 442 milioni, seguita da Lombardia (271 milioni) e Veneto (228 milioni).
Il saldo, è il caso di ricordare, si riferisce ai soli trasferimenti monetari tra regioni in passivo e regioni in attivo, quindi alla spesa sanitaria in senso stretto e non all'indotto ganerato dalle migrazioni sanitarie.
In un quadro quindi già profondamente differenziato per qualità dell'offerta, la fondazione Gimbe ribadisce la richiesta che la tutela della salute «venga espunta dalle materie su cui le Regioni possono chiedere maggiori autonomie». Se ciò non avverrà, sottolinea il presidente della fondazione Nino Cartabellotta, «in sanità si legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell'esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute».
Dalla fotografia della migrazione sanitaria nel 2021 emerge che Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3% del saldo attivo, cioè l'attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, mentre il 76,9% del saldo passivo (la migrazione dei pazienti dalla regione di residenza) si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. «Le nostre analisi - osserva Cartabellotta - dimostrano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il governo per la richiesta di maggiori autonomie. E che oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale vengono erogate dal privato accreditato, ulteriore segnale d'indebolimento della sanità pubblica». In particolare le Regioni dove la sanità privata eroga oltre il 60% del valore totale della mobilità attiva sono Molise (90,5%), Puglia (73,1%), Lombardia (71,2%) e Lazio (64,1%).