Boss arrestati a Palermo, Lo Voi: «Una ribellione senza precedenti, vittoria dello Stato e dei cittadini»

Boss arrestati a Palermo, Lo Voi: «Una ribellione senza precedenti, vittoria dello Stato e dei cittadini»
di Lara Sirignano
Sabato 21 Novembre 2015, 00:35 - Ultimo agg. 3 Novembre, 00:44
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Trentasei commercianti di Bagheria taglieggiati per decenni da Cosa nostra rompono lo storico tabù del silenzio e parlano. Raccontano agli investigatori vessazioni e soprusi: una ribellione corale al racket del pizzo che ancora strangola le attività economiche. Siamo a una svolta?

«Non so se si può parlare di svolta, eviterei di cedere alla facile tentazione di cantare vittoria prima del tempo, perché, i fatti ce lo hanno insegnato, Cosa nostra resta forte e profondamente radicata sul territorio. Certo in nessuna indagine finora avevamo registrato un numero simile di collaborazioni con gli inquirenti. Al di là dell’enfatizzazione, anche comprensibile, siamo, dunque, davanti a un risultato molto importante». A rispondere è Francesco Lo Voi, il procuratore di Palermo che ha coordinato l’inchiesta.



Procuratore, cosa ha fatto la differenza stavolta e spinto alla ribellione?

«Premesso che ogni inchiesta ha una sua storia, ogni territorio le sue caratteristiche e non è possibile giudicare usando criteri standard, posso dire che ci troviamo davanti a un’innegabile crescita sociale, resa ancora più importante, in questo caso, dal fatto che questa sorta di ribellione muove i passi da Bagheria, feudo mafioso storico che per anni ha dato ospitalità al boss Bernardo Provenzano durante la latitanza. Io credo, volendo semplificare, che a certi risultati si sia arrivati grazie a più fattori: da un lato l’azione dello Stato, che, con un intervento repressivo incisivo e centinaia di arresti, ha dimostrato di sapere dare delle risposte efficaci, dall’altro il contributo fondamentale dell’associazionismo antiracket. Le associazioni stanno lavorando bene sostenendo chi denuncia e affronta un percorso, anche personale, molto difficile e dimostrando, con iniziative pubbliche che sul territorio ci sono energie sane da utilizzare a beneficio della collettività».



Per anni imprenditori e commercianti hanno considerato il pizzo un costo d’impresa sostenibile in cambio del quieto vivere garantito da Cosa nostra. Quanto la crisi, con cui gli operatori economici devono fare i conti, incide sulla decisione di dire basta?

«La crisi c’è e pesa. D’altronde la vive a cascata anche Cosa nostra che ha sempre maggiori difficoltà a trovare fonti di sostentamento in un tessuto economico in difficoltà. La crisi c’è, dicevo, e rappresenta una spinta, per alcuni, che a un certo punto si chiedono perché sottostare a questa forma parassitaria di ricatto».



Si parla per convenienza dunque?

«Non solo. Ci sono stati e ci sono anche casi in cui la vittima avverte il dovere etico di rivolgersi agli investigatori che, è bene sottolinearlo, fanno sul territorio un lavoro straordinario rendendosi punto di riferimento per i cittadini».



Scorrendo i nomi dei personaggi coinvolti nell’indagine salta all’occhio una continuità nell’esercizio del potere. A distanza di anni ritroviamo al comando boss storici. Come è possibile?

«Perché così è Cosa nostra: i vecchi assetti di potere sono resistenti, non si spezzano. E, nonostante i clan siano in grado anche di rinnovare i propri vertici piazzando al comando forze fresche, sovente di spessore criminale minore rispetto alla tradizione ma sempre pericolose, i padrini storici restano punto di riferimento. Alcuni tornano in auge dopo avere lasciato la prigione e pagato il conto con la giustizia, altri non perdono mai lo scettro e il comando».



Il Procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, non perde occasione per rivolgere appelli alla collaborazione alle vittime della criminalità organizzata locale. Ritiene che una risposta simile a quella dei 36 operatori economici bagheresi possa arrivare dalla Capitale?

«Non conosco la realtà romana come il procuratore di Roma, che peraltro, è esperto conoscitore anche di quella siciliana, ma non credo che sia possibile fare paragoni. Noi abbiamo pianto magistrati, politici, giornalisti, esponenti delle forze dell’ordine uccisi da Cosa nostra. Noi abbiamo avuto le stragi. Credo che qui gli atti di ribellione siano costati e costino qualche difficoltà in più».
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