Coronavirus, a Roma per lavoro e poi il ricovero appena tornato in Lombardia: «Pensi di essere più furbo del virus e invece...»

A Roma per lavoro, poi il ricovero appena tornato in Lombardia: «Pensi di essere più furbo del virus e lui ti fotte»
A Roma per lavoro, poi il ricovero appena tornato in Lombardia: «Pensi di essere più furbo del virus e lui ti fotte»
Giovedì 2 Aprile 2020, 14:17 - Ultimo agg. 3 Aprile, 13:47
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Maurizio Bosatra, lodigiano, ha passato dodici giorni all’ospedale Sacco di Milano a combattere contro il covid 19. «Arrivava gente di continuo», spiega ha raccontato all’agenzia Nova. «Non ho idea dove posso averlo preso, sono sempre stato attento, l’importante è esserne uscito, ci vorranno mesi prima di guarire completamente, ma ora è fondamentale che la gente stia a casa, perché se pensi di essere più furbo del virus lui ti fotte». 

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Quando ha avuto i primi sintomi? 
«Il 5 marzo ho avuto il primo segnale di febbre: 37.2, poi 37.5 poi, verso sera, 37.8. Ho fatto tre sere così, poi da lunedì 9 anche di giorno finché è salita sempre di più e sono arrivato a 38.9».

Ha pensato subito al coronavirus? 
«I Primi giorni volevo escluderlo, pensavo fosse un’influenza normale, però dopo che la febbre non andava via e aumentava, dopo il terzo, quarto, quinto, sesto giorno devi fartene una ragione: non è l’influenza intestinale. Quando ti viene la febbre in questo periodo 99 su 100 è questa roba qua, non è altro». 

Quindi ha sentito il medico e ha detto di chiamare il pronto soccorso? 
«Ho sentito un amico medico e mi ha consigliato di fare una lastra perché la febbre era da polmonite. Al pronto soccorso dell’ospedale Sacco di Milano, dove sono specializzati in malattie infettive, ho detto che era una settimana che avevo la febbre, mi hanno visitato e mi hanno detto “facciamo una lastra, che è meglio”. Poi mi hanno detto che la lastra era sporca, sentivano che c’era qualcosa che non andava. Verso la notte mi hanno fatto una ecografia e mi hanno detto che la polmonite era appesa a un filo, avrei potuto farla o non farla, era una questione millimetrica. Il giorno dopo mi hanno rifatto l’ecografia e la polmonite è stata esclusa».  

Però le hanno detto che lo aveva preso. Quale è stata la prima cosa a cui ha pensato? 
«Lo davo per scontato ormai, erano 24 ore che ero in pronto soccorso insieme a una decina di persone più o meno. Lì in attesa, tutta gente che tossiva. Con una tosse che non era normale, io fortunatamente non la avevo, ma dava fastidio a me per loro, era veramente impressionante la tosse che sentivo». 

Quanto è stato in pronto soccorso? 
«Dalla sera alle 22 alla sera dopo alle 20, quando mi hanno messo in una camera e poi il giorno dopo volevano mandarmi a casa. Fino a che hanno verificato che con l’ossigeno non andavo proprio bene. Non ero basso, sotto i 90 di saturazione, però ero un po’ ballerino e quindi mi hanno ricoverato nel reparto malattie infettive e ci ho fatto 12 giorni. Per fortuna non sono stato intubato, Me la sono cavata con il respiratore classico, mi hanno messo le cannette nel naso, gli occhialini, come li chiamano. Quelli che indossavano il casco, il “cpap”, per 4 o 5 giorni, al settimo andavano a casa. Io ci ho messo un po’ di più, però ho preferito stare lì qualche giorno in più piuttosto che essere a casa in balia degli eventi». 

In 12 giorni in isolamento c’è tempo per pensare. A cosa ha pensato in quei momenti? 
«Io l’ho presa con molta filosofia. Intanto sono stato fortunato a essere in ospedale, dopodiché non ho mai avuto paura, ho sempre pensato tornerò a casa, anche se in un ospedale, soprattutto in questo periodo, vedi quello che vedi». 

Che cosa ha visto? 
«Al pronto soccorso più che altro, perché io ero in una stanza con una persona che aveva la polmonite e aveva su il casco. Una persona anziana oltretutto, di cui vedevo la sofferenza. Però soprattutto al pronto soccorso arrivavano a nastro, uno dietro l’altro, vedevo le persone che avevano questa tosse potente, una tosse potente che io non ho avuto, ma facevano male a me i polmoni per loro. Una tosse mai sentita, veramente forte, una cosa brutta che ti faceva capire la forza del virus». 

Come è andata al Sacco? 
«Ho visto una professionalità molto molto alta: pur non essendoci mai stato ricoverato, sapevo che il Sacco è specializzato per le malattie infettive e la professionalità è di alto livello, anche per quanto riguarda gli infermieri e il personale di servizio in ospedale. Anche dal punto di vista umano, chiunque entrava in camera non faceva pesare la situazione, mi sentivo quasi come fossi in un albergo. Io ero libero e loro avevano tutte le protezioni. Scambiavamo due parole, sul tempo, su quanta gente c’è ancora in giro, quattro chiacchiere per essere a contatto con la realtà, perché è vero che avevo internet e i social, però tante cose te le perdevi. E poi l’altra persona in camera con me aveva il casco e non parlava, quindi sono stato 7 o 8 giorni così. Gli ultimi tre giorni, ero nel reparto pre-uscita, però ormai lì la cosa era andata. Ti tengono un attimo in osservazione e poi vai». 

Si comincia a vedere più gente in giro per Milano rispetto ai giorni scorsi: lo ha rilevato il presidente della Regione Attilio Fontana, lo ha detto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala e, del resto, basta guardare fuori dalla finestra... 
«Sì, ma dove vai in giro? bisogna stare a casa, serve uno sforzo di tutti, tranne chi deve fare lavori di prima necessità perché non si può fermare tutto. Bisogna stare in casa, soprattutto l’asintomatico che la fa e non sa di averla diventa pericoloso se va in giro. È un periodo che ha travolto la nostra vita. Sarà lunga». 

Come sta ora? 
«Anche senza la polmonite i polmoni erano stati aggrediti in maniera pesante, ci metterò un po’ prima che ritornino a lavorare tranquillamente come si deve. Ma poco importa, l’importante è venirne fuori. A me hanno detto due mesi, anche tre. Poi magari fra un mese sono quasi a regime o fra quattro mesi sono a regime. Non è che devo mettermi a correre o fare calcio agonistico, la prendo con calma e va bene. Il problema è la gente che continua ad andare in giro. Il virus è invisibile, se pensi di essere più forte o più furbo del virus, lui ti fotte. Non c’è niente da fare, anche se usi tutte le precauzioni». 

Ripensandoci, ha idea dove potrebbe essere stato contagiato? 
«No, non so dove posso averlo preso, sono stato attento.

Ho parlato con tutte le persone che ho incontrato fino a 15 giorni prima e nessuno ha avuto questo problema. Il 2 marzo sono andato a una riunione a Roma, ho preso la metropolitana a Milano ma era vuota, in treno eravamo in tre persone su una carrozza, a Roma ho preso il taxi. Poi la sera sono andato fuori a cena con una persona lì, ma nessuno delle persone che ho visto e incontrato ha avuto nulla. Se è vero che lo prendi anche toccando gli oggetti, a quel punto è molto semplice prenderlo: pigi il tasto di un ascensore e poi ti sfreghi un occhio... capisci che hai fatto una cavolata, però l’hai fatta perché di solito ti capita di sfregarti un occhio. Mi auguro che non sia davvero così semplice prenderlo». 

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