Eitan, il nonno arrestato a Tel Aviv, indagata anche la nonna per il rapimento. Il caso all'Fbi israeliana

Eitan rapito e portato in Israele, indagata anche la nonna
Eitan rapito e portato in Israele, indagata anche la nonna
Martedì 14 Settembre 2021, 09:00 - Ultimo agg. 15 Settembre, 10:04
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Rapimento del piccolo Eitan: in attesa che la Farnesina prenda posizione sul sequestro del bimbo italiano e israeliano (finora si registra solo la frase del ministro Di Maio: «Stiamo effettuando verifiche per accertare quanto accaduto e poi intervenire») le autorità israeliane hanno arrestato Shmuel Peleg, il nonno che sabato ha portato via il nipote. 

La polizia israeliana ha interrogato l'ex militare ed ex funzionario dell'El Al, la compagnia di bandiera,  riguardo le accuse di aver «rapito il nipote e averlo portato in Israele». Lo ha fatto sapere la polizia stessa aggiungendo che dopo l'interrogatorio l'uomo è stato posto agli arresti domiciliari. Il provvedimento restrittivo è previsto fino a venerdì. A interrogare Shmuel Peleg in caserma è stata l'Unità speciale 433 i cui agenti hanno poi portato l'uomo al proprio domicilio a Petah Tikva, non lontano da Tel Aviv. Lo stessa casa in cui è ospite lo stesso bimbo, come si è scoperto in queste ultime ore: il piccolo, che ha bisogno ancora di cure anche psicologiche e fisioterapiche, deve restare in casa in quarantena per le norme anti-Covid. Al nonno è stato anche ritirato il passaporto. 

L'Fbi israeliana

L'Unità speciale 433 è considerata l'Fbi israeliana: l'intelligence interna indaga sui più gravi casi di crimini, compresi omicidi e stupri, e di corruzione.

L'ambasciata
 

Poco prima l'ambasciatore israeliano a Roma a diffondere una nota.  «Si spezza il cuore davanti agli ultimi e sorprendenti sviluppi legati al bambino Eitan Biran». Lo dice  Dror Eydar. L'Ambasciata d'Israele fa sapere che sta accompagnando la vicenda sin dal momento in cui si è verificato il disastro della funivia, lo scorso maggio, fino ad oggi. Le autorità israeliane, precisa l'Ambasciata, stanno seguendo questo triste caso e se ne occuperanno in collaborazione con l'Italia, a beneficio del minore e in conformità con la legge e le convenzioni internazionali pertinenti.

Il nonno si difende e si contraddice

Dice che non ha rapito il nipote e che lo ha semplicemente riportato in maniera legale in Israele. Da parte del sequestratore del bimbo continuano le affermazioni che contrastano con la ricostruzione del rapimento in piena violazione delle leggi italiane e della Convenzione dell'Aja. Per di più Peleg si contraddice perché aveva fatto dire ai suoi legali di "avere agito d'impulso" mentre sabato rapiva il nipote dopo aver noleggiato un'auto e un jet executive. Adesso invece cita una preventiva "consultazione esperti di diritto".

«Il trasferimento di Eitan in Israele è avvenuto in maniera legale e dopo una consultazione con esperti di diritto». Lo ha detto Shmuel Peleg secondo quanto riferito da Gadi Solomon, un portavoce della famiglia. Shmuel Peleg - ha continuato - ha collaborato «in pieno con gli investigatori e ha risposto a tutte le domande». Peleg si è presentato alla polizia dopo essere stato convocato per chiarire «sul ritorno di Eitan a casa sua in Israele», come avrebbero voluto i suoi genitori. Solomon ha confermato la «limitazione» dei movimenti di Peleg fino a venerdì.

La zia paterna

Aya Biran, la zia paterna e psicologa al carcere di Pavia, alla quale era stato affidato il bimbo dai giudici lombardi, si appresta ad andare in Israele per far valere i diritti del bambino tutelato anche dalla convenzione dell'Aja. 

Indagata anche la nonna

Nel frattempo anche Etty Peleg, ex moglie di Shmuel Peleg e nonna materna del piccolo Eitan - unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone in cui ha perso i genitori, il fratelli e i bisnonni - è indagata in Italia per il sequestro del nipote, che ha la cittadinanza italiana e quella israeliana. Stessa accusa per Shmuel Peleg che, secondo i suoi avvocati, avrebbe "agito d'impulso" nel rapire il bambino portandolo a Lugano su un auto a noleggio dopo avere affittato un jet privato invece di riaccompagnarlo presso la zia in Italia che il giudice per i minorenni aveva nominato tutrice del il bimbo, disponendo anche il divieto di espatrio e la riconsegna del passaporto.

Tutte disposizioni a difesa del piccolo che sono state violate dai nonni che l'hanno rapito "d'impulso" e portato in Israele con un blitz totalmente illegale. Etty Peleg ha più volte affermato che il nipote in Italia non è stato curato appropriatamente.

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In precedenza era filtrato che Eitan sarebbe stato in cura nel prestigioso ospedale Sheba di Ramat Gan, sobborgo chic di Tel Aviv, non lontano da Ramat Aviv, altro quartiere residenziale della città, dove vive Etty Peleg, la nonna materna di Eitan. Ed è stata lei a rivelare che il piccolo è in cura. Non prima di aver negato, in un'intervista alla radio israeliana 103 FM, che si sia trattato di un rapimento.

 

 

Lo zio

Ieri era stato lo zio paterno di Eitan, Or Nirko, ad accusare la nonna materna di complicità nel sequestro in una più ampia storia che pare intrecciare pure interessi economici legati ai risarcimenti per il disastro della funivia e motivi di educazione religiosa del bimbo. Or Nirko, marito di Aya Biran, affidataria in Italia di Eitan chiede una  «soluzione politica» e riferisce di personaggi strani che si sarebbero avvicinati al piccolo: «Nel corso di una visita precedente Eitan è stato tenuto per due ore e mezza dentro la macchina della nonna materna e interrogato da una persona sconosciuta, che diceva che il suo lavoro è “cambiare i baffì”».

La famiglia materna - Eitan «sta bene». Sono le poche parole che vengono riferite da fonti legali vicine alla famiglia materna del bambino. 

La famiglia paterna

Intanto Aya Biran - la zia paterna di Eitan di cui esercita la tutela - ha presentato al Tribunale per le questioni familiari di Tel Aviv la richiesta di far rientrare il piccolo in Italia sulla base della Convenzione dell'Aja. Lo riferisce l'israeliana Canale 13.  In particolare dell'articolo 29 che consente al titolare del diritto di affido di «rivolgersi direttamente al competente tribunale per chiedere il rientro del minore sottratto, anche senza l'intermediazione delle autorità centrali».

«È un'istanza prodromica e preparatrice per un'eventuale attivazione della procedura», ha spiegato l'avvocato Cristina Pagni, che assiste in Italia Aya, assieme ai legali Armando Simbari e Massimo Saba parlando dell'iniziativa della zia paterna del bambino. «C'è ancora in corso una valutazione ed è ancora aperto il tema se ad attivare la procedura sarà l'Italia o Israele», ha chiarito. Potrebbe, infatti, arrivare anche una richiesta dai legali della tutrice che dovrà passare per il ministero della Giustizia. 

Violata la convenzione dell'Aja

La Convenzione dell'Aja del 1980 è il documento che si occupa delle procedure relative agli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori. In Italia è stata ratificata e resa esecutiva con la legge 15 gennaio 1994 n.

64 ed è attualmente applicata nelle relazioni tra l'Italia ed una serie di stati tra cui lo stesso Israele. Ha come fine "assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente" e "assicurare che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti". In tema di applicazione delle procedure previste dall'atto, composto da 45 articoli, esistono alcune regole.

In primo luogo "lo Stato di residenza abituale prima della sottrazione e lo Stato in cui il minore è stato portato (Stato di rifugio)" devono avere "entrambi ratificato o aderito alla Convenzione e hanno reciprocamente accettato l'adesione dell'altro Stato".

Per la Convenzione, il trasferimento o il mancato rientro di un minore é ritenuto illecito "quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro". Il minore sottratto deve avere meno di sedici anni e al compimento del sedicesimo anno la procedura si interrompe, anche se è già in fase giudiziaria.

    In tema di "ritorno del minore" l'articolo 8 stabilisce che "ogni persona, istituzione od ente, che adduca che un minore é stato trasferito o trattenuto in violazione di un diritto di affidamento, può rivolgersi sia all'autorità centrale della residenza abituale del minore, sia a quella di ogni altro Stato Contraente, al fine di ottenere assistenza per assicurare il ritorno del minore".

    Le autorità centrali svolgono sostanzialmente una funzione di "raccordo" tra il soggetto che chiede il rientro del minore e le autorità dello Stato dove è stato trasferito. Le autorità giudiziarie o amministrative di ogni Stato Contraente devono procedere d'urgenza per quanto riguarda il ritorno del minore" e "qualora l'autorità giudiziaria o amministrativa richiesta non abbia deliberato entro un termine di sei settimane dalla data d'inizio del procedimento, il richiedente (o l'autorità centrale dello Stato richiesto), di sua iniziativa, o su richiesta dell'autorità centrale dello Stato richiedente, può domandare una dichiarazione in cui siano esposti i motivi del ritardo".

La durata di sei settimane si riferisce al primo grado di giudizio. Anche se l'ordine di ritorno è stato emesso tempestivamente in primo grado, l'eventuale fase di appello può far durare di più l'intera procedura. Per emettere l'ordine di ritorno il giudice dello Stato rifugio deve verificare una serie di elementi tra cui se prima della sottrazione il minore aveva effettivamente la residenza abituale nello Stato in cui si chiede il ritorno, se il soggetto che presenta la domanda di ritorno è titolare della responsabilità genitoriale e se la sottrazione è stata fatta senza il consenso del soggetto titolare della responsabilità genitoriale.  

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